MARTA E MARIA

MARTA E MARIA

STUDIO BIBLICO: MARTA E MARIA

 

È importante che gli Evangelisti citino Marta e Maria sempre insieme. 

 

Marta e Maria, dunque, non si dividono, né si devono contrapporre: sono due figure che “viaggiano in coppia” e insieme costituiscono addirittura un “punto di riferimento” per chi vuole appieno essere un discepolo di Gesù.

 

Sarebbe riduttivo e ingiusto pensare a Marta come a una donna superficiale, preoccupata solo alle cose materiali; è Marta, infatti, che corre incontro a Gesù (Giov. 11:20) e Lo riconosce come Figlio di Dio (Giov. 11, 27), professando la sua fede in Lui e nella risurrezione dei morti.

 

Maria appare caratterizzata nei Vangeli da un atteggiamento più riflessivo e molto più emotivo; sembra più incline all'ascolto che alla parola, ma non manca neppure d'iniziativa: vedi l'unzione dei piedi di Gesù (Giov. 12:3).

 

La sua figura è caratteristica e “coerente” nei due Vangeli che la nominano: ha un atteggiamento di assoluta ammirazione e devozione per Gesù suscitando scandalo, prima nella sorella (Luca 10), poi nei discepoli (Giov. 12).

 

In questo contesto anche le parole di Gesù hanno un proprio significato non-immediato: Gesù non fa una questione di “persone” (Maria sì, Marta no), ma di scelte da fare nella propria vita: 

 

- Preoccuparsi e affannarsi per tante cose, oppure cercare quella che vale più di tutte? 

 

- Essere credenti asceti, o “conquistatori di anime” che lavorano attivamente nel campo del Signore?

 

Quello che a Gesù interessa è la definitività e la “durata” di ciò che mettiamo alla base della nostra vita: la Sua Parola (che "non passerà mai") é certamente la "parte migliore che non sarà tolta"! 

 

Su di Essa va poi costruito il nostro servizio, la nostra consacrazione e la vita cristiana.

 

 

 

MARTA E MARIA: LA FEDE E LE OPERE

 

La figura di queste due donne ripropone l’infinito dualismo sull’importanza della fede e delle opere.

 

Sebbene alcuni studiosi e filoni cristiani abbiano voluto interpretare questi concetti attribuendo un peso maggiore o all’una o all’altra caratteristica, possiamo notare dalla Parola di Dio che la distinzione d’importanza non è poi così marcata ed evidente, anzi l’una completa l’altra e nessuna delle due può considerarsi adeguata senza la contemporanea presenza dell’altra.

 

 

  • Come rispondereste a una persona che vi dicesse: "Se la salvezza è per la sola fede, per quale motivo bisogna fare opere buone"?

 

Andiamo, allora, alla Lettera di Giacomo che potrebbe far nascere qualche dubbio se letta con superficialità (Giacomo 2:14-26).

 

Secondo il versetto 26, se la fede non è accompagnata da opere, non è una fede reale nel Dio della Bibbia. 

 

In questa lettera Giacomo corregge un'incomprensione dell'insegnamento di Paolo sulla giustificazione per fede. 

Alcuni distorcevano questa dottrina per giustificare il proprio libertinismo. Giacomo spiega che la vera fede conduce, di fatto, alle opere buone.

 

OVVERO: i salvati non si sforzano di fare le opere buone, (perché è per loro naturale farle); se non le fanno, ne consegue che non sono salvati.

 

 

Per proseguire il ragionamento con maggiore fluidità, facciamo una breve parentesi e puntualizziamo meglio questo modo di ragionare, che si chiama SILLOGISMO ARISTOTELICO

 

Il sillogismo aristotelico è un ragionamento in base al quale da due giudizi (detti premesse), si ottiene un altro giudizio detto conclusione secondo il seguente schema di ragionamento:

 

Premessa maggiore + Premessa minore = Conclusione

 

Esempio:

 

1) Socrate è uomo                              [Premessa maggiore]            

2) Tutti gli uomini sono mortali            [Premessa maggiore]

 

3) Socrate è mortale                           [Conclusione]

 

Da questo modo di ragionare posso anche ricavare, al contrario, che: se Socrate non muore mai allora non è un uomo! Questa conclusione per “esclusione” è detta “conditio escludens”.

 

Un altro esempio più vicino al nostro tema di studio. Nel nostro caso il sillogismo è:

 

1) Tizio è un salvato

2) Tutti i salvati hanno Gesù nel cuore e compiono le opere Sue

3) Tizio compie le opere di Gesù

 

La “conditio escludens” è: se Tizio non compie le opere di Gesù, non è un salvato!

 

 

“Un albero di limoni non s’impegna a fare i limoni o sceglie se farli o no, perché, in quanto “albero di limoni”, non può far altro che frutti e nella fattispecie “limoni”. 

Ma se quell’albero facesse le mele cosa diremmo? Che non è un albero di limoni! (Luca 6:43- 44);

 

In definitiva, il frutto che noi produciamo (le nostre opere) testimonia che tipo di albero siamo, cioè quale sia la nostra natura (fede).

 

Un esempio.

 

In Matteo 12:31-35 leggiamo del peccato imperdonabile, ovvero del peccato contro lo Spirito Santo, che si manifesta in noi col rigettare definitivamente Cristo! 

Chi rigetta Cristo, non ha in sé la nuova natura e manifesta chiaramente questa sua condizione con una vita che offende Gesù. 

È chiaro che in questo caso non è neppure in grado di realizzare quelle opere buone preparate in precedenza da Dio affinché le realizziamo, perché esse sono state preparate per quelli che sono “Opera Sua” ed hanno, quindi, in sé la vita generata dalla fede (Efesini 2:10).

 

Come si può armonizzare, quindi, il verso di Giacomo 2:26 con quelli che insegnano che la salvezza è per fede? In realtà, la risposta è facile. 

 

Ciò che qui è insegnato è che le buone opere sono l'evidenza, la prova, che uno sia salvato, evidenza che egli ha fede genuina.

Una persona che sia nata di nuovo fa l'esperienza di un cambiamento nella sua vita. Lo Spirito Santo comincia a trasformare la sua condotta peccaminosa in uno stile di vita improntato all'amore. Se nella sua vita non vi sono di questi cambiamenti, già questo mostra che non ha vera fede (Galati 5:16-25).

 

È quindi indiscutibile: LA SALVEZZA È PER FEDE! (Ebrei 11:6; Efesini 2:8; 2ªTessalonicesi 2:13; Romani 10:17)

Il testo chiave che riconcilia Paolo “l’apostolo della fede” e Giacomo “l’apostolo delle opere” è Galati 5:6!  «… quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore».

 

 

Torniamo, ora a Marta e Maria e al nostro TESTO DI RIFERIMENTO (Luca 10: 38-42).

 

Marta è presentata in primo piano, probabilmente è la sorella maggiore: la casa è “sua” e Maria è introdotta come “sua” sorella.  

 

Le due sorelle relazionano con Gesù in modo  assai diverso.

 

-  Marta ritiene di fargli bella accoglienza con molti servizi.

 

-  Maria, invece, preferisce stare ai suoi piedi e ascoltarlo.

 

 Così le loro figure sono spesso contrapposte:

 

  • MARTA sarebbe l’EMBLEMA della VITA ATTIVA, 

  • MARIA quello della VITA CONTEMPLATIVA. 

 

C’è chi, dietro il contrasto tra  le due sorelle, vede un conflitto presente nella comunità primitiva tra “attivisti” e “ritirati”.  Sullo sfondo ci sarebbe la seguente domanda: cosa è più importante in seno alla comunità cristiana:

 

- Il servizio, (diakonia) [Marta]

 

- Oppure l’ascolto della Parola di Gesù [Maria]? 

 

 

 

MARTA: UNA DONNA ATTIVA NEL SERVIZIO

 

Innanzitutto è importante notare che l’accoglienza a Gesù è diversa.

 

Marta si sente così onorata d’aver accolto il Maestro, che non sa più cosa fargli. 

Vorrebbe che tutto riuscisse alla perfezione, vorrebbe offrirgli il massimo dell’ospitalità. Forse è anche un po’ emozionata (si sa, quando c’è un’ospite illustre l’emozione può giocare la sua parte e togliere il pieno controllo della situazione). 

 

In effetti, dopo l’accoglienza iniziale, cordiale e significativa, si avverte un certo cambiamento, come se la situazione le sfuggisse di mano. 

 

Non è più al centro della sua attenzione la Persona di Gesù.

 

Ovviamente sta lavorando per Gesù, sta dandosi da fare per Lui… ma, Marta, dopo la generosa accoglienza iniziale, si coinvolge a tal punto nel suo servizio che rischia di perdere di vista la Persona del Signore al quale il servizio è rivolto. 

 

Sperimenta amarezza e rabbia per il fatto di sentirsi sola a servire, e non si accorge che in quella solitudine si è cacciata da sé. 

 

Può capitare anche a noi qualcosa di simile quando perdiamo di vista il “per Chi” facciamo le cose!

 

Marta decide di intervenire quando nota che non riesce a fare tutto da sola, ma, sotto la pressione dell’ansietà, interviene in modo improprio! 

Anziché rivolgersi alla sorella, se la prende direttamente con il Maestro: «Signore, non T’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Luca 10:40).

 

Il tono sembra quello della padrona di casa, della “signora” e non più della serva che umilmente si dà da fare per servire il suo ospite. Dov’è finita la signora di casa, accogliente e generosa…? 

 

Da che cosa è provocato questo cambiamento repentino di atteggiamento? 

 

Sembra esserci un’esplosione di amarezza nelle parole di Marta.  Deriva forse dal sentirsi lasciata sola nel servizio? Marta pretende che sua sorella abbia occhi per lei, vorrebbe che capisse il suo bisogno di aiuto. 

Chiusa nella sua pretesa, non comunica con la sorella, non ha la semplicità di chiedere: “Per favore, Maria, aiutami”. Pretende che Maria capisca da sé e pretende che il Signore intervenga a farle giustizia. 

Probabilmente Marta si sente offesa dall’atteggiamento della sorella,  e chiede aiuto a Gesù per riportare la sorella dentro i parametri del ruolo tradizionale della donna: “Dille che mi aiuti”. 

 

È solo a questo punto che il servizio di Marta viene biasimato dal Signore Gesù, non perché sbagliato in sé, ma perché non è animato dal giusto sentimento.

 

Nel servire il Signore chiediamoci: “Trasmetto la serenità di Maria o l’agitazione di Marta?”

 

Gesù si rivolge alla signora di casa con affetto, ma al contempo con fermezza, chiamandola due volte per nome: «Marta, Marta», proprio come farà con Simone nell’imminenza della grande tentazione (Luca 22: 31)

 

Marta, infatti, sta entrando nella tentazione di auto-comprendersi, di auto-compiacersi a causa dei servizi che sta svolgendo; «ti preoccupi e ti agiti per molte cose». Al contrario Maria, la sorella minore, riconosce “la visita del Signore”. 

 

 

 

SI PUÒ SVOLGERE UN SERVIZIO NEL SIGNORE MA NON PER IL SIGNORE!

 

Quando si diventa professionisti del servizio che si svolge:

  • Si perde di vista l’obiettivo

  • Non si richiede la guida e l’ unzione dello Spirito Santo

  • Ci si isola dagli altri pensando di poter essere sufficienti a fare ogni caso da sé

  • Il servizio diventa il “mio“ servizio  ( la “mia” classe di scuola domenicale, il “mio” compito nella musica, la “mia”chiesa . . . ricordiamoci che apparteniamo a Gesù non solo noi , ma anche il nostro servizio

  • Si perdono le motivazioni e l’entusiasmo 

  • Si perde la determinazione, la consacrazione e la devozione peculiari del servizio cristiano

 

Non bisogna mai perdere di vista la propria pochezza. Bach diceva: “UNO SCRITTORE PROFESSIONISTA È UN DILETTANTE CHE NON HA MAI MOLLATO!”

 

Si può servire il Signore, ma stare lontani dalla comunione con Lui! Si può servire il Signore senza più dimorare ai suoi piedi: il risultato non è un frutto alla sua Gloria, ma ansia, fatica, mormorio, critica e  delusione.

 

 

 

IL RIMPROVERO A MARTA: FARE O ASCOLTARE?

 

Il rimprovero che viene mosso a questa donna è quello di preoccuparsi e di agitarsi per molte cose; non viene rimproverata perché fa da mangiare - meno male, anzi, che Marta ha fatto da mangiare (si presume infatti che stesse preparando la cena), altrimenti quel giorno avrebbero saltato il pranzo!

 

Il rimprovero non è rivolto all’azione, ma all’essere troppo presa da molti servizi.

 

In greco c’è la parola "diaconia" e il riferimento è di tipo ecclesiale, non domestico, non è il problema del far da mangiare in casa o non collaborare; è invece un problema di attività, d’impegno nella vita della Chiesa.

 

Questo episodio è collocato subito dopo la parabola del buon samaritano e non è un caso, perché è importante tenere insieme i due racconti. 

 

Leggendo, infatti, il brano del buon samaritano, è logico concludere che bisogna "fare" concretamente; infatti Gesù per due volte dice allo scriba che lo stava interrogando: «Va’ e fai anche tu lo stesso!»

 

Il buon samaritano è uno che ha operato, che ha fatto del bene, che ha fatto la carità, quindi, dico che l’importante è "fare"

Subito dopo leggiamo, poi, di Marta e Maria e, dimenticandoci di ciò che è scritto  prima, comprendiamo che l’importante è "ascoltare", per cui sembra che la Bibbia sia contraddittoria, ma non è affatto così. 

 

Le due cose sono da tenere insieme e Luca, molto saggiamente, guidato dallo Spirito Santo, ha messo i due episodi uno di seguito all’altro per evitare l’atteggiamento estremista di contrapposizione, in base al quale si sostiene che bisogna fare oppure, al contrario, che bisogna ascoltare. 

 

Sono necessarie entrambe le cose e la grande lezione di Luca sta in questo concetto: bisogna "fare" la carità, ma per poter fare bisogna prima "ascoltare", come pure è vero che non basta ascoltare se poi non si mette in pratica. 

 

Le due cose non sono alternative ma necessarie entrambe; quindi, Marta e Maria non sono due figure antitetiche, bensì due figure complementari che devono diventare entrambe il modello della Chiesa, cioè di un atteggiamento operativo/contemplativo.

 

 

 

MARIA LA DONNA CHE AMA STARE AI PIEDI DEI GESÙ (UNA DONNA DI COMUNIONE!)

 

 

Maria appare sulla scena come la figura del “Discepolo”:

 


È seduta ai piedi del Signore (Kyrios)

 

Ascolta la sua parola, così come i giudei che studiavano la Torah si sedevano attorno al loro rabbino per ascoltare e imparare i suoi insegnamenti.

 

Riceve la parola e la conserva nel cuore, come faceva Maria la madre di Gesù in  Luca 2,19.51. 

 


Marta e Maria rappresentano due attività femminili opposte e complementari allo stesso tempo, tutte e due segnate dal silenzio: l’attività svoltasi senza parole (Marta) e la parola ascoltata in silenzio (Maria).  

 

Marta ha accolto Gesù, però quella che in realtà gli ha dedicato la sua attenzione e il suo tempo è stata Maria. 

 

Marta era distratta con tante cose da fare, Maria invece era concentrata sulle parole di Gesù.

Alla distrazione di Marta si oppone l’attenzione di Maria, e al molto servizio di Marta si oppone la concentrazione di Maria; in certe occasioni il  troppo servizio può anche essere dispersivo.

 

Una cosa sola è necessaria: cercare il Regno di Dio (Luca 12:31), e, per trovarlo, bisogna la-sciare tutto, così come ha fatto Maria. Essa ha lasciato tutto e si è seduta ai piedi di Gesù per ascoltarlo. 

 

Maria è stata una donna libera, perché ha voluto scegliere e ha scelto la parte migliore. Nessuno ha scelto per lei. L’iniziativa è stata tutta sua. 

 

Gesù non dice a Marta di continuare il lavoro, e nemmeno dice a Maria di continuare a stare seduta ai Suoi piedi, ma pone l’accento sul valore che ha l’ascolto personale della parola per ambedue le sorelle. 



Gesù non condanna Marta, ma le ricorda il rischio di vivere in una continua dispersione. Il troppo affanno per il servizio può separarci dalla Parola di Gesù che è la radice, la fonte di ogni servizio.

 

Maria ha sete di ascoltare Gesù, riconosce di aver bisogno di dedicare del tempo ai Suoi piedi per imparare, ammirare, contemplare il suo maestro. Coglie l’importanza di quell’occasione forse unica di avere Gesù a “propria disposizione”, dedicato a lei nella sua casa, e sceglie di sfruttare questa meravigliosa occasione di stare a stretto contatto con il suo Maestro.

 

Cogliamo in Maria anche l'elemento del riposo in Cristo e non in qualcosa di personale. 

 

Mentre Maria è seduta ai piedi di Cristo, è come se si fosse dimenticata del suo passato: essa non ricorda più se nel passato era stata innocente o peccatrice, perché la sua attenzione è interamente assorbita dalla meraviglia della Parola del Maestro. 

 

Chi si è concentrato in Dio non ha più occhi per guardare se stesso. Non è possibile guardare contemporaneamente due oggetti: o guardiamo Cristo, che col Suo splendore sta dinanzi a noi, oppure siamo concentrati su noi stessi, cadendo a intervalli più o meno lunghi nella tristezza e nello scoraggiamento.

 

Le parole taglienti della sorella non la colpiscono; così come si è affrancata dal suo passato, è anche libera dal presente. 

 

La liberazione cristiana promessa dalla croce di Cristo è proprio questa: il riposo in Lui, senza che niente e nessuno possano più turbarci. 

 

Non c'è dubbio che il brano conclusivo del capitolo 10 di Luca, dopo avere tratteggiato l'icona dell'amore del prossimo, raffigura, nella persona di Maria, l'icona di quell'amore verso l'unica cosa necessaria che una volta collocata al vertice della vita, fa di te una persona libera.

 

 

LA PARTE CHE NON LE SARÀ TOLTA: LA LIBERTÀ INTERIORE E LA RELAZIONE CON GESÙ.

 

Quando si legge il Vangelo, bisogna sempre inserirlo nel contesto culturale dell’epoca e non pensare di interpretarlo con i nostri valori e i nostri criteri. 

 

Il fatto che Maria si sia seduta ai piedi di Gesù, non significa un segno di devozione da parte di Maria nei confronti di Gesù, o tanto meno di adorazione e di contemplazione!

 

Nelle case palestinese non esistevano le seggiole, né i tavoli, ma piuttosto delle stuoie, sulle quali tutti quanti sedevano per terra. 

Sedersi ai piedi di qualcuno significava accoglierlo, ospitarlo e ne abbiamo la prova dal Talmud che descrive le abitudini degli ebrei. Perciò Maria si siede ai piedi di Gesù non nel senso che si mette in atteggiamento adorante o di devozione, ma come se Lo accogliesse.

 

  Assume così il ruolo del maschio com’era concepito nella tradizione dell’epoca. E questa è una trasgressione gravissima, perché le donne nelle case dovevano essere invisibili. 

Entrando in una casa palestinese, si era accolti dagli uomini di casa mentre le donne non si vedevano.

 

Quindi Marta va da Gesù e protesta e ricaccia Maria nel luogo della tradizione. 

 

Approfondiamo la reazione di Gesù. «Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta”»

 

Quando nei Vangeli un nome di una località o di una persona viene ripetuto, questo rappresenta un formalismo tecnico che serve a indicare “lamento per la tragedia che vive questa persona, questa località”. 

 

Un esempio lo abbiamo nel passo in cui Gesù, guardando Gerusalemme, dice: «Gerusalemme, Gerusalemme».

Qui Egli piange su Gerusalemme perché ne prevede già la distruzione. 

La ripetizione del nome di Marta, quindi, è un rimprovero nel quale Gesù esprime la drammatica situazione di lei. 

«Ma Gesù le rispose: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno; Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta».  

 

Vediamo allora di comprendere questa sentenza importante di Gesù che riguarda una donna, ma naturalmente non è limitata al mondo femminile. 

Gesù rimprovera Marta, la quale è vittima, succube di una tradizione religiosa, di una tradizione sociale, morale e che non sopporta la libertà degli altri, ed elogia Maria, perché dice: «una sola è la cosa di cui c’è bisogno» e aggiunge «Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta»

 

In passato, quando sono stati gli uomini a interpretare questo brano, gli uomini di chiesa, essi hanno sentenziato: “La parte migliore, che non sarà tolta alla donna, è la vita contemplativa di clausura”.  

 

In realtà la verità qui citata è del tutto opposta!!!

 

1) Nella Bibbia non c’è menzione alla clausura, all’ascetismo.

 

2) Non ci viene detto di nessun servitore del Signore contemporaneo di Gesù o successivo che si sia dedicato a fare l’eremita

 

3) A più riprese la Bibbia ci invoglia ad “essere nel mondo”, ma non “del mondo” ( Matteo 15:18-19)

 

4) È chiaro il desiderio di Gesù che i Suoi discepoli vadano per il Mondo a predicare l’Evangelo (Marco 16:15; Atti 1:8 ; Marco 13:10; Matteo 5:14 etc.)

 

Il vero significato sta nella “trasgressione” di Maria: lei, donna che non poteva mettersi ai piedi di Gesù per ascoltare le Sue parole, spinta dal desiderio di avere comunione con Lui, “trasgredisce” la tradizione e sceglie in tutta la sua libertà di coltivare un rapporto personale con Gesù. 

 

Nella mentalità giudaica questo era un comportamento intollerabile: era l’uomo a dover fare gli onori di casa e dialogare con l’ospite mentre la donna doveva stare nascosta a svolgere i suoi lavori.

 

Marta accetta questa condizione, senza la consapevolezza che si tratta di un’imposizione; nell’agire come “padrona” di casa in realtà è “schiava” del ruolo che altri le hanno attribuito, in conformità con il ritratto della donna perfetta contenuto nel libro dei Proverbi (Prov. 31:10-27).

 

La custode delle tradizioni si arrabbia con la sorella e pretende che sia proprio l’“uomo” Gesù, a ordinarle di aiutarla. Ma Gesù non rivolge il suo rimprovero alla “sfaticata”, bensì a colei che l’ha accusata, perché si ostina a dare la priorità a preoccupazioni inutili.

 

Maria, invece, “ha scelto la parte buona, che non le sarà tolta”, cioè ha deciso di coltivare la propria libertà, piuttosto che sottomettersi all’ordine precostituito della tradizione. 

 

Questa libertà è il bene più grande che essa ha conquistato trasgredendo le regole, e non le sarà tolto perché fa parte della sua interiorità, è frutto della consapevolezza di sé che ha maturato come persona, ancor prima che come donna.

 

Maria diventa così discepola, capace di accogliere il messaggio d’amore di Cristo, e libera di tradurlo nella sua vita quotidiana, anche fuori dalle mura domestiche.

 

A differenza di una libertà “concessa”, che può sempre essere revocata, la libertà “con-quistata” permette di vivere senza coercizioni, andando anche contro-corrente se ne-cessario, ma rivendicando sempre e comunque il diritto ad essere felici, qualunque sia la propria condizione di vita.

 

LA VERA “SVOLTA” CHE EMERGE DA QUESTO RACCONTO, ALLORA, NON È L’INVITO A PREFERIRE LA STATICA  CONTEMPLAZIONE ALLE OCCUPAZIONI MATERIALI, BENSÌ L’ESORTAZIONE PIÙ PROFONDA A GESTIRE LA PROPRIA VITA  CON LIBERTÀ E NELLA LIBERTÀ SCEGLIERE DI AVERE COMUNIONE CON GESÙ. GALATI 5:13.

 

Gesù specifica cos‘è "quella che non le sarà tolta", CIOÈ LA RELAZIONE CON LA PERSONA; la relazione di amicizia con la persona è eterna, resisterà nel tempo e nell’eternità: i poveri, i malati da curare, gli ignoranti da istruire non ci saranno più, le opere di carità finiranno, ma non così la carità. 

 

La carità è la relazione con la persona, rivolta alla persona; la parte buona che Maria ha scelto e che non le sarà tolta è proprio la relazione personale con Gesù, mentre lo sbaglio di Marta sta nel mettere le cose prima della persona, per cui la cura per i piatti e per le pietanze le fa dimenticare la persona. 

 

È quindi importante che metta i piatti e che cucini le pietanze, ma per la persona, dando la priorità alla relazione personale; la dimensione dell’ascolto, di cui Maria è modello esemplare, è proprio l’atteggiamento che permette di fare: se non si ascolta il Signore, se non lo si accoglie in profondità, non si è in grado di fare, per cui ci si agita e ci si preoccupa vanamente per molte cose.

 

L’immagine di Maria che ascolta viene ripresa dall’evangelista Giovanni, al capitolo 12, quando parla della cena di Betania, quando è proprio Maria di Betania che unge i piedi di Gesù con l’unguento profumato. Questo episodio somiglia molto a quell’altro della peccatrice, ma questa non è una donna peccatrice bensì colei che ha scelto la parte buona!

 

 

MARTA E MARIA IN GIOVANNI 11

 

Il testo si muove tra la morte e la vita di Lazzaro che raffigura il dramma personale di Gesù. 

 

Colui che è la vita, troverà presto la morte: infatti in Giov. 11:45-54 (subito dopo il nostro testo), i capi dei Giudei condannano Gesù a morte. 

D’altra parte, la risurrezione di Lazzaro rispecchia in anticipo la risurrezione di Gesù. Questo dramma si svolge in un contesto familiare dove spuntano i vincoli di amicizia e fratellanza. 

 

A partire da Giov. 11:4 fino a 11:15 il narratore e le parole di Gesù anticipano quello che accadrà dopo e ciò significa che l’accento cade non sui risultati ma sul processo, sul cammino da percorrere. 

 

Ambedue le sorelle, Marta e Maria, si muovono, agiscono, parlano, chiedono aiuto, corrono, non si rassegnano alla morte del fratello, ma soprattutto interpretano i fatti accaduti, la realtà, le parole di Gesù. 

Questa loro interpretazione rivela la loro capacità di pensare e agire. Fanno il loro cammino piano piano, un passo dopo l’altro, tentando di capire i piccoli segni. 

 

Malgrado il carattere definitivo della morte (“egli puzza già”!), ancora c’è una porta aperta, ancora c’è speranza, ancora c’è un’altra possibile lettura: quella della ricerca, quella della fede. 

 

 

MARTA FA UN CAMMINO NELLA SUA ESPERIENZA DI FEDE. 

 

Questa sua esperienza è interpretazione del senso della vita e della morte. Gesù può trasformare quello che in apparenza è già definitivo. Gesù può trasformare la morte in vita. 

 

Marta è una donna realista. 

Suo fratello prima si ammala e poi muore. Questa è la realtà e Marta non s’illude. Cerca Gesù e gli chiede aiuto. Gesù non si affretta ad intervenire, ma quando lei ormai non se lo aspettava più, ecco che venne a sapere che Gesù era arrivato sul posto. L’arrivo di Gesù è stato una vera sorpresa per Lei. In questo intervallo di tempo Marta non ha perso la capacità di sperare, di attendere, di ascoltare. Questa buona notizia la incoraggia a mettersi in cammino.

 

 Marta vuole incontrare Gesù. 

 

 Nel testo c’è un chiaro contrasto nell’atteggiamento delle due sorelle:

 

 Marta gli andò incontro (Giov. 11:20)

 

 Maria stava seduta in casa.

 

 Marta si pone in cammino perché ha ascoltato.

 

 Maria non si muove perché ancora non ha ascoltato (Giov. 11:28)

 

Ascoltare e mettersi in  cammino sono due atteggiamenti propri dei discepoli e Marta certamente si pone in atteggiamento di discepola. 

È Marta che va all’incontro di Gesù e l’incontro succede nel cammino, come tante altre volte nei Vangeli. E proprio lì sul cammino avviene il dialogo, il dialogo teologico tra i due interlocutori: Gesù e una donna. 

 

La fede di Marta, come la fede di ogni essere umano, è intrepida e fervente, ma allo stesso tempo lei è infervorata dal voler ottenere da Gesù una risposta.  

 

 Gesù la incoraggia e  la accompagna nelle “tappe della fede”

 

1) Marta e nel suo primo intervento si lamenta perché ormai Lazzaro è morto. È una constatazione della realtà: (Giov. 11:21).

 

2) Aggiunge però una seconda parte dove emerge la sua speranza. Lei confida pienamente in Gesù (Giov. 11:22).Marta pone la sua fede nelle mani di Gesù, nella sua intercessione.

 

3) Gesù risponde con una frase ambigua per Marta: «Tuo fratello risusciterà» (Giov. 11:23).

 

4) Marta, da buona credente, ribatte: «So che risusciterà nell’ultimo giorno» (Giov. 11:24).

 

5) Gesù si rivela «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?» (Giov. 11:26).

 

6) la confessione di fede di Marta (Giov. 11:27)

 

 

CONCLUSIONE

 

Impariamo da questo studio qual pericolo possono diventare per le anime nostre le cure del nostro servizio e le nostre occupazioni in questo mondo, se permettiamo loro di occupar soverchiamente la nostra attenzione. 

 

È chiaro che lo zelo eccessivo di Marta per le cose temporali, e la sua ansietà di trattare in modo conveniente il suo Signore e Maestro la preoccuparono al punto di farle scordare per un tempo le cose dell'anima sua. 

 

Questo errore di Marta dovrebbe essere un continuo avvertimento ai Cristiani tutti: se vogliamo crescere in grazia e prosperare in quanto all'anima, stiamo in guardia contro le sollecitudini del mondo. Se non vegliamo, preghiamo e coltiviamo la comunione personale con Gesù esse roderanno insensibilmente la nostra spiritualità, e impoveriranno le anime nostre.

 

Allo stesso tempo ricordiamoci che Dio non ci ha chiamati a vivere una vita di solitudine, ascetismo fatta soltanto di preghiera e adorazione: queste cose, insieme alla meditazione della Parola di Dio, devono avere un posto d’elite nelle nostre priorità, ma devono “inevitabilmente” essere seguite da una vita di servizio, di attività e di lavoro per il Signore.

 

Una chiesa piena di “Marie” sarebbe forse un male non meno grande di una Chiesa tutta composta di “Marte”. 

 

Entrambe sono necessarie per completarsi a vicenda.

 

Preghiamo che il Signore possa farci grazia di essere “Maria” prendere da Lui quello di cui la nostra anima ha bisogno per poi agire come “Marta”.