LA MIA RINASCITA

LA MIA RINASCITA

«Questa parola è sicura e degna di essere pienamente accettata, che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo» (1° Timoteo 1:15)

 

Pace a tutti.

 

Mi chiamo Gennaro, ma nel mondo mi chiamavano “lo squalo”. Già il nome fa capire quanto male abbia fatto e mi sono fatto.

 

Ho 36 anni e una famiglia composta da mia moglie, Teresa, e da tre bambini: Samuele, Lorenzo ed Emmanuel.

 

Sono qui a scrivere la mia testimonianza che Dio esiste e ci ama.

 

La mia storia comincia dal periodo dopo il militare, nel 1997.

Già conoscevo mia moglie da un anno e fu sotto il servizio militare che cominciai a fumare lo spinello. Alla fine della Leva, tornato a casa, avevo sempre più bisogno di sostanza e cominciai a sniffare cocaina. Andavo a ballare e mi ubriacavo e dopo, per riprendermi, sniffavo di nuovo. A volte questo durava per giorni ed è andato avanti per molto tempo.

 

Nel 2003, desiderando sempre di più, ho assaggiato quella droga che si chiama crack e questo mi ha spinto, poi, alle rapine, ai furti, mentre per giorni non mi ritiravo a casa (nel frattempo avevo già il mio primo figlio, Samuele, di pochi mesi).

 

Dopo un paio di anni riuscii ad uscire dalla dipendenza dal crack, ma non dalla cocaina, dalle rapine, dai furti e dagli spinelli.

 

Nel 2008 nacque il mio secondogenito, Lorenzo, ma io continuavo a pensare sempre e solo a me e mai alla mia famiglia. Ero e sono un maestro carpentiere in ferro (un ferraiolo) e ho lavorato saltuariamente in giro per l’Italia, ma il mio lavoro era solo un alibi perché quando non lavoravo, andavo a rubare.

 

Nel 2010 fui preso a rubare a casa di una vecchietta e fui incarcerato per un mese a Poggioreale, per poi uscire con gli “arresti domiciliari”. Dopo quattro mesi sono stato dichiarato libero, ma con l’obbligo della firma.

 

Alla fine del 2011 avevo finito l’obbligo della firma da pochi mesi e, anziché cambiare vita, entrai a far parte di una banda di ladri di Tir sull’autostrada, nelle aree di servizio.

 

Il 1 giugno del 2012 mi arrestarono con altre quattro persone e mi portarono nella caserma di Frosinone. Ero stanco e affamato, stavo sveglio già dal giorno prima e fui messo in una cella sporca, senza niente e nessuno. Come letto avevo un materasso di spugna pieno di insetti, ma ero troppo stanco per pensare, … e mi coricai.

 

Già sapevo che, quando il giudice avrebbe visto i miei precedenti, mi avrebbe sicuramente condannato a quattro anni di carcere come minimo.

Nel frattempo mia moglie era al quarto mese di gravidanza del nostro terzo bambino. Mentre ero a letto pensavo: “Adesso sono finito; non potrò vedere mia moglie per molto tempo e non potrò veder nascere il mio terzo figlio”.

 

Mi preoccupavo della sua salute e pensavo a quante volte mia suocera mi aveva parlato di Gesù ed io avevo sempre deviato il discorso dicendo: «Sono ateo». Ora, però, inavvertitamente, dicevo: “Adesso avrei tanto bisogno di quel Dio!”

Mi alzai dal letto, andai vicino alla finestra, alzai gli occhi e dissi: «Signore, solo con Te posso sfogare le mie lacrime … perdonami per quello che ho fatto …mi hanno parlato di Te, ma io non ho mai voluto ascoltare. Ho fatto sempre di testa mia ed ora sono qui a chiederTi perdono, anche se ho ancora qualche dubbio, ma solo a Te posso affidare la mia causa».

 

 Dopo qualche giorno il giudice ci chiamò, ma io avevo già dimenticato la preghiera che avevo fatto. Il giudice si presentò con quattro pagine e cominciò a leggere. Non ho mai badato a ciò che aveva scritto in quelle pagine perché, durante tutto il tempo che egli leggeva, io ero preso da grande paura e continuavo a ripetere nella mia mente: «Signore, pensaci Tu».

 

Alla fine ci disse di andare a casa. Io non credevo alle mie orecchie, ma, tornato a casa, ripresi la mia solita vita in piazza, con gli amici, fumando lo spinello. All’improvviso mi squillò il telefono; era mia suocera che mi disse: «Gennaro, eravamo in preghiera e il Signore ci ha parlato e ci ha detto che tu devi andare a Lui».

 

Pur di liberarmi di lei, le risposi di sì, e chiusi la conversazione, ma, nel rimettere il cellulare in tasca, dimenticai di disattivarlo e dissi ai miei amici: «ma mo’ che vuole questa? Lei e il suo  Signore!»

 

Mia suocera udì tutto, ma il giorno dopo, di nuovo, il Signore le parlò e le ripeté la stessa cosa. Ovviamente ella era ancora turbata da ciò che aveva ascoltato il giorno prima dalla mia bocca e tentennava a chiamarmi di nuovo, ma poi disse a se stessa che doveva ubbidire al Signore, coì mi chiamò.

 

Rimanemmo a telefono un paio di minuti, e quella sera stessa andai in chiesa. Entrai e subito mi sentii a mio agio, mi sedetti e il culto incominciò.

 

Già ero stato altre volte in quella chiesa, ma quella sera mi sentivo strano. Durante il culto il pastore si rivolse alla comunità dicendo: «Fai pace con tuo padre». Mi sentii profondamente turbato perché io avevo veramente litigato con mio padre, ma nessuno lo sapeva ancora, per cui nessuno aveva potuto, eventualmente, riferirlo al pastore. Come faceva, quindi, a saperlo?

 

Poi, mentre cantavamo e lodavamo l’Eterno, mi sentii due mani sulle spalle … aprii gli occhi, ma non c’era nessuno.

Ritornai a chiudere gli occhi e le due mani mi spinsero le spalle verso il basso come se mi dovessi inginocchiare. Non ci pensai su due volte e mi inginocchiai. Cominciai a piangere e dicevo a me stesso:«Comm’è, Genna’, stai piangendo davanti a tutta questa gente?»

 

Non realizzai quello che stava accadendo o, forse, non volevo realizzarlo: il mio orgoglio mi schiacciava.

 

Ritornando a casa mia, una vocina mi portava con la mente ad andare sulla piazza di spaccio a prendere l’erba da fumare e vi andai con mia moglie e i miei figli (che vergogna!)

 

Per ben tre volte ho ripetuto questo obbrobrio. Andavo al culto, poi a andavo a prendere l’erba, ma durante il quarto culto, il pastore fece un appello alla chiesa con le parole: «Se tu vuoi accettare il Signore, vieni avanti e noi pregheremo per te».

 

Senza esitare andai avanti ed accettai Gesù come mio Salvatore (fu un’esperienza bellissima!), ma, quando uscimmo dalla chiesa, la solita vocina interiore mi esortava a tornare alla piazza di spaccio ed io vi andai pure, ma quando stavo per ritirare la sostanza, mi volsi indietro e me ne andai. Lo spacciatore, che mi conosceva bene, disse: «Ma chist è scem! (ma questo è scemo!)».

 

Da allora non fumo più; era il 15 luglio 2012; grazie, o Dio mio!

 

Com’era prevedibile, immediatamente sopraggiunse la prova, che si presentò con la nascita del mio terzo bambino.

 

Per nove mesi io e mia moglie eravamo andati dal ginecologo per le visite di routine e il medico ci aveva sempre rassicurato sulla salute del piccolo, ma, quando arrivò il giorno del parto, il 6 novembre 2012, le cose si misero male.

 

Il giorno precedente mia moglie era stata ricoverata per accertamenti; per i medici, dato che mia moglie aveva partorito due bambini naturalmente, anche questo parto avrebbe avuto lo stesso percorso.

Il giorno dopo mia moglie aveva i dolori, ma il bambino non scendeva perché era molto grande e i medici incominciarono a praticare la stimolazione, ma non succedeva niente.

 

Io stavo in sala d’attesa con i parenti, me ne stavo in disparte a pregare Gesù che operasse sulla vita di mia moglie e del bambino ma in tarda serata, visto che le cose andavano male, i dottori decisero di operare, prepararono tutto e iniziarono l’intervento.

 

All’improvviso, però, un medico venne e chiese di parlare col papà del bambino; tutti cominciammo ad agitarci. Il medico di prese con sé e andammo nella sala di rianimazione. Gli si leggeva in faccia che aveva paura di dirmi quello che era successo, ma, grazie a Dio, io con molta calma lo aiutavo ad andare avanti a dirmi quello che era successo. Allora egli mi disse che il bambino non poteva farcela, ma io, con gli occhi pieni di lacrime, andai vicino al suo lettino. Subito mi accorsi che era grave; il piccolo era lì, senza vita, … non respirava, … insanguinato e pieno di tubicini.

 

Mentre il medico si mise a trascrivere il suo decesso, io stavo vicino a lui e pregavo. Piangendo dissi:«Signore, se questa è la Tua volontà, dacci forza per superare questo dolore».

Improvvisamente squillò il telefono e, dico la verità, in quel momento mi innervosii pensando: “Chi è questo che mi disturba proprio in questo momento?”. Infastidito, lessi sul display il nome dell’interlocutore; c’era scritto: “Pastore Gennaro Guzzi”.

 

Piangendo, risposi ed egli mi disse: «Pace, Gennaro; dobbiamo pregare perché c’è uno spirito di morte. Metti una mano sul cuoricino del bambino e chiudi gli occhi».

 

Pregammo intensamente e ricordo le ultime che pronunciò il pastore: «Signore, asciuga tu queste lacrime che stanno cadendo. Signore, Tu che hai formato i cieli e la terra, Tu che sei il Re dei re, Ti prego, soffia un alito di vita in questo corpicino, Te lo chiedo nel Nome del Tuo Figliuolo Gesù Cristo, il benedetto in eterno».

 

Appena finito di pregare, il pastore disse: «Gennaro, apri gli occhi e dimmi cosa vedi».

 

Io non credevo ai miei occhi: il bambino si muoveva energicamente, ma soprattutto respirava! Il medico fece cadere la penna a terra e corse subito; non poteva crederci. Gli applicò la maschera dell’ossigeno e, immediatamente, lo fece mettere in una incubatrice.

Dopo nove giorni il bimbo venne a casa. Lo chiamammo “Emmanuel”, che significa “Dio con noi”.

 

Da allora servo e servirò il mio Signore in eterno.

 

Che il Signore possa benedire chi ascolta e chi legge questa testimonianza e possa arrendersi alla Sua volontà, come ho fatto io.

 

Dio ci benedica!