CAPITOLO 2

IL CONVERTITO

 

2.a   L’acerrimo persecutore.

 

La soddisfazione di Saulo poteva essere completa. Era arrivato nella classe più alta della nazione, dove soltanto pochissimi arrivavano ed anche tra questi pochi si era distinto in modo particolare: era membro del Sinedrio ed inoltre era divenuto la figura principale nella distruzione della setta dei Nazareni.

 

Gerusalemme sembrava liberata dalle loro dottrine.

 

Gesù di Galilea aveva compiuto una grande opera, durante la Sua vita, ma Saulo si sentiva d’essere stato più forte di Lui nell’estirpare ogni radice che Egli aveva piantato e nel distruggere ogni organizzazione che avrebbe dovuto continuare il Suo lavoro.

In Gerusalemme non si udivano più i sermoni infuocati di quei fanatici.

Alcuni erano stati messi a morte, altri si trovavano nelle prigioni, forse alcuni gli erano sfuggiti perché si erano nascosti, ma questi non avrebbero mai avuto il coraggio di ricominciare da capo la predicazione nel nome del Galileo.

 

Così deve aver pensato il persecutore e deve aver sentito un forte orgoglio in sé. Dopo tutto credeva sinceramente d’aver in questo modo ser­vito alla causa di Dio.

 

La verità era, invece, che dei cristiani si erano nascosti per non essere arrestati e molti altri erano fuggiti nelle città vicine, o in quelle più lontane.

 

Improvvisamente arrivò la notizia a Gerusalemme che i dispersi avevano acceso tanti altri focolai in tutta la nazione e fuori dei confini.

Il vento della persecuzione invece di spegnere questo fuoco lo aveva disseminato ovunque.

La sua ira, allora, si accese fulminea e tremenda. Egli decise di continuare a combattere quel movimento anche a costo della propria vita pur di reprimerlo.

 

 

2.b  Sulla via di damasco.

 

La grande città di Damasco, avendo un ambiente più libero e tollerante di quello di Gerusalemme, aveva raccolto molti dei fuggiaschi ch’erano venuti quivi per cercare rifugio e protezione. A poco a poco un grande numero di credenti vi si stabilì, formando così un forte centro cristiano.

Saulo aveva avuto pieni poteri di perseguitare i credenti di Gerusalemme e delle regioni circostanti, ma finché questi trovavano rifugio fuori della nazione, non potevano essere toccati e il movimento poteva continuare a crescere indisturbato. «Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme» (Atti 9:1-2).

Il permesso anche per questa nuova opera gli fu prontamente concesso ed egli si preparò per il lungo viaggio da intraprendere in compagnia di uomini scelti mandati dai capi sacerdoti.

 

Dal centro della città si avviò verso il nord delle mura e uscì dalla porta di Damasco.  

Da questa porta partiva una strada principale che conduceva a Damasco. In questa stessa direzione si avviò, qualche anno prima, Gesù, mentre sotto il peso della croce saliva al Golgota per essere crocifisso.

Questo era un luogo pubblico poco fuori delle mura ed era situato nelle vicinanze della strada e perciò visibile da tutti i pellegrini.

 

Così Saulo, uscendo dalla città per andare a compiere la sua opera di distruzione, passò accanto al Golgota.

 

Quanti pensieri debbono esser venuti nella sua mente a quella vista.

Ora egli perseguitava i seguaci di Colui che qualche anno prima era stato crocifisso in questo stesso luogo.

Come potevano degli uomini seguire ed esser pronti anche a morire per un uomo che era stato maledetto anche da Dio (Galati 3 :13)?

Costoro dovevano aver perso la testa. D’altra parte come poteva questa pazzia aver colpito un sì grande numero di persone? Ci doveva essere una spiegazione che sfuggiva ad ogni sua indagine!

Forse essi erano stati ingannati nella loro buona fede da tutte quelle storie, evidentemente false, che circolavano sul conto di Gesù.

 

Circolava la voce che Egli fosse stato veduto in compagnia di Elia e Mosè. Si diceva che Dio medesimo dal cielo avesse testimoniato in Suo favore.

Tutti parlavano della Sua dottrina, come se Dio stesso gliel’avesse ispirata. Le testimonianze di miracoli e guarigioni divine non potevano essere negate. La Sua bontà era proverbiale.

 

Ma tutte ciò doveva avere una spiegazione segreta.

 

Quanto si rammaricava ora di non essere stato in Gerusalemme durante quei tre anni, almeno avrebbe potuto conoscere più direttamente tutte queste cose e farsi una opinione personale migliore; avrebbe potute confutare le

affermazioni dei Suoi seguaci con più sicurezza e cognizione di causa.

 

D’altra parte, si rammentava bene d’aver sorpreso dei sacerdoti che discutevano tra di loro circa il significato della rottura della cortina del tempio nello stesso istante che quel Gesù era spirato. Vi erano state anche delle manifestazioni straordinarie della natura, ma tutte queste potevano avere una spiegazione naturale plausibile.

Egli non era credulone come quei pochi sacerdoti che si erano «convertiti» a questa nuova, odiata fede.

 

Ma il fatto più difficile a spiegare era quello del rapimento del Suo corpo dalla tomba. I Suoi seguaci dovevano averlo rubato per poter affermare ch’era risuscitato e che diversi di loro Lo avevano veduto.

Ma se era veramente risuscitato, perché nessuno dei Suoi nemici L’aveva visto? Perché non si presentava più al pubblico per insegnare le Sue dottrine?

 

Evidentemente tutto doveva essere falso. I capi sacerdoti e tutti gli altri affermavano di aver udito dai soldati che i discepoli avevano rapito il corpo di Costui, e davvero, le persone onorate del popolo non potevano mentire. Però il loro comportamento si dimostrava a volte strano quando si parlava troppo di questo argomento.

 

Probabilmente erano seccatissimi dell'intera faccenda e preferivano n0n parlarne più. Però era pur strano che nessuna inchiesta, o ricerca fosse stata intrapresa per recuperare il corpo e dimostrare così la frode.

 

Pensava che forse c’era stata, ma non avendo portato dei risultati positivi e non volendo ammettere d’essere stati sconfitti, i sacerdoti preferivano passar sotto silenzio anche questo particolare.

 

Tutti questi ragionamenti passavano attraverso la sua mente mentre egli ed i suoi compagni si avviavano verso Damasco.

Erano ragionamenti e pensieri molesti, che a volte gli causavano una inspiegabile tristezza d’animo.

 

Che fosse stato infettato anche lui dalle affermazioni di costoro?

Ma lui no, mille volte no, non avrebbe mai creduto a certe superstizioni indegne di un vero e buon israelita!

D0veva assolutamente scacciare questi pensieri dalla sua mente, altrimenti che avrebbe fatto durante i cinque, o sei giorni di viaggio per arrivare fino a Damasco? Non poteva lasciarsi convincere ed abbattere dal tormento di quei sentimenti.

 

Molti dei suoi connazionali avevano riposto su di lui le loro speranze affinché questo movimento fosse distrutto ed egli aveva una grande opera da assolvere, che l’attendeva a Damasco.

Dovunque alloggiavano durante la notte incontrava sempre persone che, appena saputo della sua missione, avevano molte cose da raccontare circa questo Galileo ed i Suoi discepoli.

 

Essi erano, sì, dei fanatici, ma quante opere potenti Lui, ed i Suoi seguaci poi, avevano potuto operare! E benché quel Gesù avesse delle idee particolari, pure era stato così buono, paziente e gentile verso tutti. Così pure i discepoli vivevano una vita nobile, tutta al servizio degli altri.

 

Indirettamente, questi accenni alla loro bontà gli causavano di paragonarsi a loro.

  • Essi potevan0 essere dei fanatici, ma erano più buoni di lui.
  • Essi facevano sempre delle opere di bene, egli faceva del male agli altri.
  • Essi avevano la pace nel cuore, anche s0tt0 le persecuzioni, egli non l'aveva.
  • Essi benedivano i loro nemici, pregavano per loro, egli sentiva odio contro costoro. Egli si sentiva oppresso dalla sua stessa durezza di cuore, dalla sua cattiveria e dalla sua opera distruttrice.
  • Essi morivano con gioia inneggiando al loro Gesù, egli non sapeva come si sarebbe comportato nel momento della morte, anzi era un pensiero molesto che cercava di evitare di proposito.
  • Essi erano sicuri che il loro Signore li avrebbe accolti nella felicità eterna, mentre egli doveva sforzarsi di mettere in pratica tutto quello che la Legge richiedeva e non sentiva nel cuore questa sicurezza d'essere bene accetto da Dio.

 

Anzi qualche volta la voce della coscienza l’accu­sa­va terribilmente, facendogli intravedere quale gran­de ingiustizia era nel su0 cuore: tutte le cerimonie e prescrizioni della Legge non purificavano il suo cuore malato e lo lasciavano insoddisfatto.

Eppure era convinto di servir Dio in questa maniera.

 

Questo viaggio, attraverso regioni che non offrivano troppo per distrarre la mente, cominciava a stancarlo.

Il deserto che si estendeva dinanzi a lui, la sua monotonia

ed il suo silenzio contribuivano ancor più alla meditazione.

La voce della coscienza continuava ad accusarlo. Il peso dei suoi misfatti, anche se compiuti nel nome della Legge di Mosè, pesavano enormemente su di lui.

 

Era davvero un peccato contro Dio la fede di quei cristiani?

 

Essi erano evidentemente innocenti di qualunque altro crimine. La sola accusa era che seguivano questa nuova via; ma per essa la loro vita sembrava divenir più pura, più bella, più conforme ai dettami degli Scritti Sacri.

Come spiegare questa trasformazione?

 

Una terribile battaglia era cominciata nel suo intimo.

Forse più tardi, scrivendo il capitolo sette dell’epistola ai Romani, egli descrisse quello che deve aver provato in questa occasione.

 

Infatti esso fu scritto nella forma di monologo. Eccolo: «La legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schia­­vo al peccato. Poiché, ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; allora non sono più io che lo fac­cio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Romani 7:14-24).

 

Un’altra visione l'aveva sempre disturbato, procurandogli molte notti insonni, la morte di Stefano.

Quest’uomo aveva provato con l’autorità della Scrittura che Gesù era il Messia mandato da Dio, crocifisso dai giudei.

In quel giorno non volle ascoltare la sua testimonianza, ma il comportamento di questo discepolo lo aveva toccato profondamente.

 

Ricordava con chiarezza tutti i particolari dell'incidente:

  • la sua faccia risplendente come quella di un angelo; la sua sapienza e potenza nell'esposizione degli Scritti Sacri;
  • l’accusa vera e fondata che i padri avevano sempre perseguitato i profeti di Dio;
  • la sua affermazione di vedere i cieli aperti e Gesù alla destra di Dio;
  • il suo parlare con lo stesso Gesù per rimetterGli lo spirito nelle mani, mentre stava per morire;
  • ed infine, le sue ultime parole, la sua preghiera di perdono per i suoi persecutori, assassini.

 

Stefano pregando per coloro che lo uccidevano, pregò anche per lui, Saulo, acerrimo nemico.

Come poter dimenticare questo fatto? Come poteva Stefano avere così tanto amore, tanto coraggio e tanta perseveranza?

Eppure la sua fede era basata su una menzogna, la risurrezione di Gesù!

 

E, se fosse stato vero che Stefano vide il Nazareno risuscitato? Ma ciò non poteva essere, se non altro perché essa ci sarebbe stata nel giorno della risurrezione dei giusti.

Poi, perché gli altri presenti non videro nessuno?

 

Egli non poteva rispondere a questi interrogativi, ma ad ogni modo anche questo particolare si aggiungeva al tormento della sua anima.

 

Tale deve essere stato il conflitto di sentimenti nel suo cuore. Ma Saulo volutamente resisté, anzi prese la decisione di adoperarsi ancor più completamente per sterminare tutta questa setta, anche se per far ciò gli costava di andare contro ai suoi impulsi più generosi ed umani.

 

Egli non poteva e non voleva riconoscere come giusti quelli che sottraevano dei seguaci alla Legge di Mosè e causavano una divisione nella religione dei padri.

Credere che Gesù di Nazaret fosse il Figlio di Dio era una mostruosità, una bestemmia ed una pazzia e come tale non poteva assolutamente essere accettata.

 

 

2.c   L’apparizione.

 

Il turbamento del suo cuore non poteva essere alleviato neanche dal pensiero che tutti i suoi correligionari fossero d’accordo con lui mei mezzi che adoperava per estirpare questa setta.

Uno dei professori più stimati da lui, Gamaliele, aveva piuttosto raccomandato l’astensione dalla violenza e di lasciar in pace i seguaci del Cristo, perché se questo disegno non era da Dio sarebbe finito nel nulla.

 

Invece Saulo consacrò la sua vita per l’estinzione di questi con qualunque mezzo.

 

Ad ogni modo il tormento della sua coscienza sarebbe presto finito. Una volta arrivato a Damasco avrebbe potuto dedicarsi completamente a quest'opera e non avrebbe avuto più il tempo di pensare a tali cose.

Il viaggio stava per arrivare al suo termine e già si sentiva un pochino più sollevato. Presto cominciò a scorgere in lontananza la bella città, che appariva come un'oasi nel mezzo di un deserto.

 

Era circa mezzogiorno, proprio quando il sole del deserto si faceva più cocente e più fastidioso con i suoi raggi perpendicolari.

Verso questa ora i viaggiatori usavano fermarsi, ripararsi dal sole e riposarsi brevemente per riprendere il viaggio quando le ore del caldo più soffocante fossero passate.

Ma Saulo non volle fermarsi per quest’ultima tappa e ordinò che si continuasse la marcia. Ormai la città era vicina ed egli non voleva più perdere tempo.

 

La notizia del suo imminente arrivo era già pervenuta ai cristiani di quella città.

Essi erano turbati e prendevano provvedimenti per tenersi celati e per non far conoscere i luoghi delle loro riunioni. Altri pregavano incessantemente il Buon Pastore in cielo che considerasse le minacce di questo lupo distruttore e venisse in aiuto alle Sue pecorelle.

 

Gesù, che vegliava dal cielo su tutti i Suoi, volle ascoltare le loro preghiere ed intervenne in tempo.

Nei Suoi piani inscrutabili Egli aveva deciso di usarsi proprio di quest'uomo per la maggior gloria Sua. Improvvisamente come una luce più brillante dello stesso sole scese dal cielo.

 

Gli occhi dei viaggiatori rimasero abbagliati e senza saper come, caddero e si trovarono prostrati in terra, mentre Saulo udiva una voce che diceva: «Saulo, Saulo, perché Mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo» (Atti 26:14).

 

Aveva puntigliosamente combattuto contro Dio, malgrado tutti gli avvertimenti della coscienza ed ora Dio medesimo era intervenuto nella sua vita.

 

Cosa sarebbe accaduto a Saulo? Aveva creduto di servire Dio perseguitando questi cristiani ed ora si accorgeva improvvisamente di aver combattuto contro di Lui tutto questo tempo. Quella voce gli arrivò fino nel più profondo del suo essere. Quel nome, quegli accenti risuonavano altamente personali e drammatici: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».

«Chi sei tu, Signore?» chiese allora Saulo, con quel poco di energia che gli era rimasta, ma un vago presentimento dentro di sé già gli faceva intravedere chi Egli fosse.

Era una scoperta amara, che lo riportava alla realtà dei fatti. Sì, aveva perseguitato tanta povera gente, ma soprattutto egli aveva perseguitato il nome e la dottrina del Nazareno. Egli aveva perseguitato Gesù nella persona dei Suoi seguaci.

 

Involontariamente egli in quella breve domanda aveva già confessato di sapere chi fosse.

 

I cristiani nell’invocare il loro Maestro usavano spesso il nome: «Signore».

Saulo in questa circostanza usò la stessa parola: «Chi sei tu, SIGNORE.

 

Saulo agì come Toma quando Gesù gli apparve, immediatamente Lo riconobbe come Signore.

Dopo un attimo, che gli deve esser sembrato lunghissimo, Saulo ricevette la conferma del suo presentimento: «Io son Gesù che tu perseguiti; ma levati, entra nella città, e ti sarà detto ciò che devi fare» (Atti 9:5,6).

 

Gesù era vivente! Allora era vero quello che i Suoi seguaci affermavano! Egli era risuscitato! Perciò era anche vero ch'Egli era il Messia ed il Figlio di Dio! E finora egli aveva combattuto contro di Lui.

 

Ora poteva spiegarsi il perché di tante riprensioni della sua coscienza, il perché della sua insoddisfazione, il perché i sacerdoti di Gerusalemme non avevano piacere che si indagasse troppo sulla storia del rapimento del corpo.

Egli era stato ingannato dai sommi sacerdoti, era stato indotto dai loro argomenti a perseguitare quegli innocenti. Ora si rendeva conto di aver fatto male, aveva combattuto contro i seguaci del Figlio di Dio.

 

Sentiva un profondo rimorso e un grande pentimento.

Ma intanto il male fatto nel nome della Legge non poteva essere più ritirato e molti innocenti avevano già sofferto ed alcuni «messi a morte» (Atti 26:10).

Non era altr0 che un miserabile degno della punizione più grande da parte di Dio.

Finalmente conosceva la verità. La maestà e la grandiosità dell'apparizione gli provavano che Gesù era il Figlio di Dio.

Cosa gli avrebbe fatto? L’avrebbe condannato per la sua crudeltà?

 

No! La tanto conosciuta bontà del Cristo divenne presto una realtà anche per Saulo, Suo acerrimo nemico. Gesù si era presentato a Saulo non per condannarlo, piuttosto per perdonarlo, salvarlo e affidargli un’opera nuova e differente; non la persecuzione, ma la salvezza degli uomini: «Entra nella città, e ti sarà detto ciò che devi fare».

 

 

2.c   L’entrata nella città.

 

In quel brevissimo incontro, forse durato soltanto dei momenti, il carattere forte di Saul0 fu spezzato.

 

D0cilmente si arrese all'apparizione e chiese umilmente: «Signore, che debbo fare?» (Atti 22:10).

Poi si alzò e si accorse d'essere cieco, onde fu necessario che i suoi compagni lo prendessero per mano e lo guidassero fino nella città.

 

Quale differenza tra il Saulo uscito da Gerusalemme, pieno di se stesso, altero, spirante minacce e il Saulo che entrò nella città di Damasco!

Aveva provato a combattere il Nome di Gesù ed era stato umiliato profondamente. Ora entrava nella città come fosse quasi un mendicante, la faccia stravolta e cieco.

 

Fu condotto dove doveva albergare e per tre giorni rimase in uno stato pietoso.

Il suo carattere era stato distrutto. Non voleva neanche rispondere alle molte domande dei suoi amici. Non desiderava conforto, non accettava né cibi, né bevande. Bramava soltanto la solitudine.

 

La brillante apparizione di Gesù Cristo risorto e glorificato continuava ad essere dinanzi agli occhi del suo spirito. Il suo essere stava passando attraverso una trasformazione totale.

 

Soltanto ora capiva quali grandi sbagli aveva commessi nella sua vita passata e quale sacrilegio era il suo odio contro Gesù. Pensava di fare un’opera meritoria ed ora capiva che questo peccato era il più infamante di tutti.

 

Ma benché la sua vita esteriore veniva disfatta, la sua vita spirituale veniva illuminata d’una luce nuova. Egli si sentiva stranamente calmo e poteva pregare, come non aveva mai pregato prima di allora.

Confessava i suoi sbagli, i suoi peccati chiedendo perdono ed aveva anche la certezza nel suo cuore che queste sue preghiere venivano ascoltate ed esaudite.

 

Mentre pregava così, egli vide in visione «un uomo, chiamato Anania, entrare ed imporgli le mani» perché ricuperasse la vista (Atti 9:12).

 

Questo Anania era uno di quelli che egli avrebbe dovuto arrestare e perseguitare, ma non sentiva più di far ciò, piuttosto sentiva dell’amore verso costui.

 

Cosa era avvenuto dentro di sé? Il suo cuore era stato trasformato.

 

Nello stesso tempo in un'altra parte della città anche Anania era in preghiera «e il Signore gli disse in visione: Anania! Ed egli rispose: Eccomi, Signore. E il Signore a lui: Levati, vattene nella strada detta Diritta, e cerca, in casa di Giuda, un uomo chiamato Saulo, da Tarso; poiché ecco, egli e in preghiera …. Ma Anania rispose: Signore, io ho udito dir da molti di quest'uomo, quanti mali abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme. E qui ha potestà dai capi sacerdoti d'incatenare tutti coloro che invocano il Tuo Nome» (Atti 9:10-14).

 

Anania era un discepolo qualunque senza caratteristiche degne di nota. Viene nominato solo due volte nella Bibbia e in entrambi i casi solo incidentalmente ed in relazione alla conversione di Saulo. Eppure notiamo in lui delle bellissime qualità spirituali.

 

Il suo discutere con Dio in visione dimostra che egli era abituato a trattare col Signore.

Probabilmente egli era tra quelli che pregarono che Dio fermasse l’opera di distruzione di Saulo. Quando comprese che Gesù aveva cambiato la vita di costui, egli prontamente obbedì, si levò ed andò nella casa indicatagli.

 

Entrò nella camera dove Saulo alloggiava e tralasciando tutto il passato, si rivolse con tanto amore a colui che aveva ucciso e perseguitato molti dei suoi fratelli.

Le prime parole uscite dalla sua bocca furono: «Fratello Saulo».

 

Quale saluto! Quale mondo nuovo appariva dinanzi all'ex nemico dei cristiani! Solo la grazia di Dio poteva operare simili miracoli. Quale differenza tra questo saluto e la freddezza dei farisei, tra i quali Saulo aveva vissuto! Anania gli impose le mani, pregò per lui ed egli recuperò la vista e fu riempito dello Spirito Santo.

 

Cosa passò di nuovo attraverso quel cuore e in quel corpo in quei momenti? A quale mondo nuovo riapriva gli occhi?

 

Saulo fu battezzato e con questo la sua morte alla vecchia vita fu completa. Era risorto ad una nuova vita in Cristo Gesù.

Da quel momento in poi non poteva più ritornare indietro alle sue cose ed alla sua religione. In quel momento incominciava una marcia senza ritorno verso l’assoluta fedeltà al nuovo Signore.

 

Immediatamente prese cibo, riacquistò le forze, rimase alcuni giorni coi discepoli per chiedere spiegazioni di molte cose concernenti la vita di Gesù. Poi non potendo resistere all'impulso del suo cuore, ripieno di una gioia ineffabile, «subito si mise a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figliuolo di Dio. E tutti coloro che l’udivano, stupivano e dicevano: Non è costui quel che in Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed è venuto qui allo scopo di menarli incatenati ai capi sacerdoti? Ma Saulo vie più si fortificava e confondeva i giudei che abitavano in Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo» (Atti 9:20-22).

 

Così facendo Saulo si dette completamente al nuovo Maestro e Signore, come prima si era dato al servizio della Legge.

Questa fu parte della reazione all'amore di mostratogli da Gesù salvandolo mentre era ancora nemico.

 

Ma così facendo Saulo si estraniava sempre più dalla sua vita passata, dalle sue vecchie compagnie e conoscenze, rinunciava alla sua posizione sociale, al suo prestigio religioso, ai suoi vanti religiosi, a tutti gli onori che gli erano stati tributati mentre si trovava ancora sotto la Legge.

Egli tralasciò tutto ciò che apparteneva al passato ed ogni sua gloria, o vanto. Ora considerava tutto come il rifiuto di questo mondo.

 

Soltanto un desiderio esisteva nel suo cuore: divenire un semplice ed umile schiavo di Cristo (Romani 1:1), sempre pronto ad eseguire ogni comando del suo Signore e, se necessario, pronto anche ad immolare la sua vita pur di essere trovato fedele da Lui.