MI RITENEVO GIUSTO, MA ERO SOLO UN PECCATORE PERDUTO

MI RITENEVO GIUSTO, MA ERO SOLO UN PECCATORE PERDUTO

NON CHI SI RITIENE GIUSTO LO È VERAMENTE, MA SOLO COLUI CHE DIO HA GIUSTIFICATO IN CRISTO GESÙ MEDIANTE IL LAVACRO COL SUO SANGUE PREZIOSO

 

Ringrazio Dio con tutto il mio cuore se oggi posso scrivere questa mia testimonianza di fede, tutta opera del nostro Signor Gesù Cristo.

Erano gli anni ‘80 quando mia moglie, a seguito di una malattia al rene, accettò l’invito di mia sorella di andare nella Chiesa evangelica da lei frequentata e di esporre il suo problema fisico al Signore.

 

Mia moglie accettò di andare in Chiesa e, durante la celebrazione del culto, subito si rese conto che molto più importante della guarigione del corpo era la salvezza dell’anima. Fu così che, con una semplice fede, chiese al Signor Gesù d’intervenire nella sua vita. Il Signore nella Sua fedeltà non si fece attendere e di lì a poco la salvò e la guarì.

 

Devo dirvi che, pur avendo sempre creduto che esistesse Dio e nonostante avesse compiuto già un’opera gloriosa in mia moglie, non riuscivo ad aprire il mio cuore a Gesù perché credevo che, in fondo, fossi un uomo giusto e di non aver commesso grossi peccati.

 

Passarono così ben dieci lunghi anni nei quali ci fu un gran combattimento tra me e mia moglie; ricordo in particolare che una sera, dopo una grossa lite, decidemmo di dividerci poiché consideravo una realtà che il bene e il male non possano stare insieme.

Dentro di me c’era un gran combattimento perché amavo mia moglie e, pur comprendendo che era nella verità, c’era qualcosa in me che m’impediva di superare questa difficoltà.

 

Spesso andavo anche in Chiesa e molte volte dicevo al Signor Gesù: “Ti prego salvami, fammi riconciliare con mia moglie”, purtroppo non succedeva niente; solo dopo ho capito il perché: infatti non lo chiedevo con tutto il mio cuore.

 

A quel tempo tra i miei cognati ve n’era uno, Ciro, col quale ero particolarmente legato, oltre che da vincoli familiari, anche da una profonda amicizia personale perché andavamo veramente d’accordo e ci volevamo molto bene. Anch’egli, come me, non era convertito, mentre mia suocera ed altri due suoi fratelli già servivano il Signore.

 

Accadde che mia suocera si ammalò molto seriamente; era in ospedale in condizioni gravi ed io e Ciro andammo a farle visita. Fu durante quella visita che accadde un episodio che mi fece tanto riflettere!

 

Mentre io, Ciro e gli altri suoi due fratelli eravamo tutti assieme in quella stanza di ospedale, mia suocera espresse il desiderio di pregare con i suoi figli. Anche io e Ciro ci disponemmo alla preghiera, ma ella ci invitò ad uscire dalla stanza perché, disse, “quello che adesso faremo non è per voi”.

 

Uscimmo, ma io ci rimasi malissimo perché quell’esclusione da parte di una figliuola di Dio ad un avvenimento spirituale mi spinse a riflettere sulla mia reale condizione davanti a Dio.

 

Se non ero stato ritenuto adatto e degno di essere presente ad una preghiera, allora non ero considerato un vero cristiano; se così era per una semplice credente, come sarei stato giudicato da Dio quando mi fossi trovato nella Sua Presenza santa se fossi rimasto in quella condizione ibrida nella quale, pur frequentando la chiesa, non ero realmente convertito? Non ero, cioè, né carne, né pesce? Probabilmente anche Dio mi avrebbe detto che il cielo non era per me.

 

Questo episodio mi segnò profondamente nell’intimo, tanto che intensificai le mie preghiere, chiedendo a Dio di operare profondamente la mia vita.

 

Passarono alcuni giorni e il 23 novembre 1984 mio cognato Ciro morì improvvisamente, a 38 anni, colpito d’infarto. Questa sua dipartita improvvisa mi stravolse completamente, non solo perché, come ho già detto, gli ero profondamente affezionato, ma soprattutto perché acuì ed approfondì dentro di me l’angosciosa ricerca della comprensione del mio futuro eterno.

 

Molte volte la mamma ed i suoi due fratelli già convertiti gli avevano parlato dell’amore di Gesù, ma egli li snobbava e, nella sua incredulità, ci rideva su, come facevo anch’io con mia moglie quand’ella mi parlava di Gesù.

 

Fu così che in preghiera chiesi a Gesù cosa sarebbe successo dell’anima di mio cognato e, mentre ero ancora in preghiera, all’improvviso, compresi che proprio io, quell’uomo giusto che credevo di essere, non ero altro che un misero peccatore, orgoglioso e presuntuoso.

Gridai al Signore Gesù dal profondo del mio cuore e Gli chiesi perdono dei miei peccati, mentre, con gli occhi ancora chiusi e in lacrime, li vedevo passarmi davanti come se stessi guardando un film.

Non so quanto tempo rimasi a piangere in ginocchio davanti al Signore, ma ricordo che, quando mi alzai, sentii una pace nel cuore che non avevo mai provato prima.

 

Da quel giorno sono passati molti anni, durante i quali il Signore mi ha modellato e mi sta ancora modellando ed oggi mi concede grazia di servirsi di me, strumento disutile, per proclamare ad altri la Sua Parola.

 

Oggi non mi chiedo più dove trascorrerò l’eternità perché lo Spirito Santo, che Gesù ha messo dentro di me, come fa con tutti i figli Suoi che Lo hanno accettato come loro personale Salvatore e Signore, mi attesta che la “beata speranza” della vita eterna è l’eredità che mi è stata riservata nel cielo fanno parte della mia eredità celeste.

 

Per quest’amore che il Signore ha manifestato nei miei confronti, non posso fare a meno di rendere lode e gloria a Lui che nel suo infinito amore ha avuto pietà di me facendomi diventare un Suo figliuolo. A Lui, e solo a Lui, rendo la lode e la gloria in eterno.

 

Fr. Gabriele Imperato