CAPITOLO 4

IL MISSIONARIO

 

4.a  La preparazione.

 

Il carattere di Paolo di natura vulcanica, sempre attivo, nato per esser «leader» in qualunque campo si fosse applicato, non poté rimanere a lungo inattivo.

 

Con la sua conversione al Cristianesimo, egli aveva perso ogni incarico, ogni autorità nel Giudaismo.

Era appena entrato in un monde nuovo, differente. Non conosceva nessuno e non era troppo sicuro di tutto quello che avrebbe dovuto fare come cristiano.

 

D'altra parte egli aveva ricevuto una rivelazione sicura e potente; ora conosceva la verità. Aveva ricevuto da Gesù medesimo la missione di esser testimone e ministro delle

cose che ora sapeva. Inoltre era stato accettato nella famiglia dei credenti in Cristo.

 

Poteva egli tenere per sé queste cose meravigliose, senza farne parte a molti altri che non le conoscevano ancora?

E se Gesù gli aveva ordinato di esserGli un testimone, perché indugiare? Se non altro poteva testimoniare di quello che già sapeva ed in maniera speciale di quello che gli era accaduto. Così, poco dopo la conversione «subito si mise a predicar nelle sinagoghe che Gesù è il Figliuol di Dio» (Atti 9 :20).

 

Aveva compreso che il mondo aveva bisogno di conoscere quello che lui aveva ricevuto per rivelazione. Paolo aveva cominciato la sua opera nel nome del suo Signore, non con un senso di superiorità sugli altri, piuttosto come un umile servo, uno schiavo che non può fare altro che obbedire al comando del suo Signore: «Guai a me se non predico» (1° Cor. 9:16) ebbe a dire in una occasione più tardi.

 

Incominciando a testimoniare per il suo Maestro e Salvatore si rese conto, però, che se voleva essere uno strumento potente ed efficace per l’evangelizzazione delle genti, egli doveva perfezionare la sua conoscenza del Cristo, egli doveva essere rivestito di potenza e di autorità dall'alto per il suo nuovo compito.

 

Per questo si ritirò nel deserto per un periodo di approfondimento nella nuova fede e per trascorrere del tempo in intima comunione con Dio.

 

Ritornato di nuovo a Damasco (1) - bella città situata tra il deserto e le montagne dell'Antilibano – la forte personalità di Paolo attirò su di sé l'attenzione dei suoi ex-cor­reli­gionari.

 

(1) Pensiamo che la sezione Galati 1:15-19 dovrebbe esser posta tra il versetto 22 e il versetto 23 del cap. 9 degli Atti.

 

Assieme all’attenzione attirò anche del forte odio e delle forti reazioni. Se i cristiani di questa città trovarono in Saulo un forte campione e poterono godere della pace, le autorità religiose reagirono con violenza, crearono nella sinagoga di Damasco dei disordini per impedire che Paolo testimoniasse e chiesero alle autorità civili di intervenire.

 

Il governatore stesso fu interessato nel caso ed egli fece bloccare tutte le uscite della città dalle sue guardie per poter catturare il fomentatore dei disordini. «A Damasco, il governatore del Re Areta aveva posto delle guardie alla città dei damasceni per pigliarmi; e da una finestra fui calato (di notte), in una cesta, lungo il muro e scampai dalle sue mani» (2 Cor. 11 :32,33).

 

Fuggito da Damasco andò a Gerusalemme per incontrarsi con gli altri apostoli. Ma i cristiani di questa città, benché avessero già udito parlare molto di Paolo, diffidavano di lui e, forse pensando che tutto potesse essere soltanto una nuova manovra per colpire ancora più violentemente questa chiesa, facevano fallire ogni suo tentativo di mettersi in contatto con loro.

 

Finalmente Barnaba, un discepolo eminente di quella comunità, avendo conosciuto la sincerità della conversione dell'ex-persecutore dei cristiani, «presolo con sé, lo menò agli apostoli, e raccontò loro come per cammino (Paolo) aveva veduto il Signore e il Signore gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con franchezza nel nome di Gesù» (Atti 9 :27).

 

Forse in Gerusalemme Saulo provò a testimoniare ai suoi vecchi amici e nelle sinagoghe. Forse ritornò là dove aveva udito la testimonianza di Stefano, questa volta per prendere il posto di quest’ultimo nel difendere la messianicità del Cristo. Ma i giudei, come avevano fatto tacere con la morte la voce di quel valente evangelista, così avrebbero ora voluto fare con Paolo; «questi cercavano d'ucciderlo. E i fratelli, avendolo saputo, lo condussero a Cesarea, e di là lo man­darono a Tarso» (Atti 9:29).

 

Quello che era successo a Damasco e a Gerusalemme divenne tipico per tutto il tempo del ministerio di Paolo.

Egli cominciò molte volte a testimoniare ai suoi correligionari nelle loro sinagoghe finché cominciava la reazione ed egli doveva fuggire, o lasciarli per andare ad annunziare l’evangelo ai gentili.

Anche in questi particolari Dio continuava a preparare appieno l’apostolo delle genti.

 

 

4.b  La chiamata dello Spirito Santo.

 

Dopo il suo breve, ma pericoloso soggiorno a Gerusalemme, consigliato dai discepoli, Paolo si avviò verso la sua città natia.

 

Possiamo facilmente immaginare come egli sia stato accolto dai suoi parenti, conoscenti e vecchi amici nella città di Tarso.

 

Forse suo padre lo diseredò e non volle più vederlo. L'apostolo non raccontò mai nelle sue epistole come egli fu ricevuto, ma conoscendo che suo padre era uno della setta dei farisei, potremmo supporre che egli deve aver considerato suo figlio un traditore della causa della Legge.

 

Anche degli altri membri della sua famiglia non sappiamo niente, fatta eccezione della sorella e del nipote, che abitavano in Gerusalemme e che forse si erano convertiti anch'essi.

 

Cosa fece egli a Tarso? Quanto restò egli qui?

Vi e un brevissimo accenno che si riferisce a questo periodo della sua vita in Galati 1 :21-24. «Poi venni nelle contrade della Siria e della Cilicia; ma ero sconosciuto, di persona, alle chiese della Giudea, che sono in Cristo; esse sentivano soltanto dire: Colui che già ci perseguitava, ora predica la fede, che altra volta cercava di distruggere. E per causa mia glorificavano Iddio».

 

Per molto tempo Paolo percorse le contrade della Siria e della Cilicia predicando l'evangelo della grazia.

La notizia della sua conversione, della sua predicazione venne conosciuta in tutte le chiese ed esse ne erano felici e ne glorificavano Dio.

 

Nel frattempo l'evangelo era stato annunziato anche in Antiochia di Siria, da alcuni fratelli fuggiti da Gerusalemme a causa della persecuzione, e qui era sorta una fiorente comunità cristiana «e gran moltitudine fu aggiunta al Signore» (Atti 11:24).

 

Barnaba, che intanto era stato mandato ad Antiochia dalla chiesa di Gerusalemme, si trovò sommerso dal grande lavoro e cominciò a sentire il bisogno di un'aiutante.

Egli, conoscendo quale grazia speciale era stata affidata a Paolo, cioè l'apostolato dei gentili, andò a Tarso a cercarlo per portarselo con sé ad Antiochia.

 

Per un anno intero Barnaba e Paolo lavorarono assieme nel lavoro evangelistico in questa città. Entrambi avevano un gran cuore ed una grande facilità di fare amicizie.

Qui vi era anche uno spirito differente.

 

Fu proprio qui che ai discepoli di Cristo fu dato il nome di cristiani, cioè si riconosceva pubblicamente che questo non era un altro ramo del Giudaismo, ma un nuovo movimento religioso fondato da Cristo.

 

Paolo, anche in questo, veniva preparato dalla mano di Dio con esperienze evangelistiche e spirituali. Egli diveniva sempre più maturo e pronto per il lavoro missionario.

 

Ormai erano passati già otto-dieci anni dalla sua conversione ed egli aveva passato i quaranta anni di età. Anche il suo carattere diveniva sempre più fermo.

Mentre lavorava qui egli capì che dinanzi a Dio tutti gli uomini sono fratelli e non esistono differenze di razze e di religione e perciò egli cominciò qui a difendere chiaramente le posizioni ed il diritto dei gentili.

 

Quando i giudaizzanti vennero da Gerusalemme a portare un poco di confusione, coi loro scrupoli circa la Legge, Paolo restò fermo nella giusta linea di condotta e riprese pubblicamente persino Pietro e Barnaba per la loro incongruenza su questo punto (Gal. 2:11s.).

 

Intanto il messaggio cristiano era pervenuto a tante nuove persone e a molte città. Le comunità cristiane si moltiplicavano rapidamente. Ma il comando di Gesù di evangelizzare il mondo intero non veniva ancora considerato, o eseguito; un vero e proprio lavoro missionario non era ancora stato organizzato.

 

Gli apostoli e gli evangelisti erano stati invitati in molti posti fuori di Gerusalemme, ma essi non erano ancora andati, di proposito, incontro ai pagani col Vangelo.

Per questo, un giorno mentre i discepoli «celebravano il culto e digiunavano, lo Spirito Santo disse: Mettetemi a parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati» (Atti 13:2).

 

Lo Spirito Santo comandò e guidò in modo preciso e il racconto di quello che seguì riafferma ancora una volta la chiamata speciale che Paolo ebbe di andare alle nazioni.

 

Naturalmente la chiesa obbedì a tale ordine e pregando per loro li affidarono nelle mani di Dio.

 

 

4.c   Strategia missionaria.

 

Dopo il suo breve ma pericoloso soggiorno a Gerusalemme, Barnaba e Paolo partiti nello spirito dei dodici e dei settanta discepoli, mandati in missione a suo tempo da Cristo, cominciarono a percorrere molte città e regioni, dovunque lo Spirito Santo li guidava e in ogni posto la potenza di Dio operava cose meravigliose e chiamava i cuori al ravvedimento ed alla salvezza.

Sarebbe profittevole soffermarci a meditare le tante dimostrazioni della potenza di Dio nell'aprire le porte delle opportunità ai Suoi seguaci, ma ciò esula dal nostro compito in questo breve capitolo.

Vogliamo, invece, considerare brevemente i viaggi missionari di Paolo nell'insieme, notandone alcune caratteristiche principali.

 

Per prima cosa vogliamo considerare la dipendenza e l'obbedienza assoluta di Paolo alla guida dello Spirito Santo.

Egli, oltre alle chiare manifestazioni della volontà divina, deve aver posseduto una tale sensibilità spirituale che lo aiutava grandemente nella scelta del luogo, del tempo e del modo per la presentazione del messaggio cristiano.

 

La guida dello Spirito è così evidente nel racconto degli Atti degli Apostoli, che è impossibile dubitarne minimamente.

 

  • Nel primo viaggio missionario fu lo Spirito a parlare alla chiesa di Antiochia.
  • Nel secondo lo Spirito vietò a Paolo di annunziare l'evangelo in una data regione.
  • Più tardi, invece, lo Spirito confermò in varie maniere l'opera le la predicazione dell'apostolo.

 

Inoltre, la guida dello Spirito sembrava essere conforme al principio enunciato da Cristo; essere testimoni in un dato luogo e di lì irradiarsi tutto intorno, sempre più lontano. Anche Paolo seguì questo principio; i suoi orizzonti missionari si estendevano sempre più. Da Antiochia predicò l'evangelo nella regione circostante dell'Asia Minore, indi se ne allontanò sempre più fino a fare piani di visitare Roma e la Spagna.

Nei suoi viaggi egli sceglieva con cura i centri, le città principali della regione da lui visitata e vi stabiliva il suo centro d'azione.

Possibilmente vi restava diversi mesi e da qui egli faceva in modo che il vangelo arrivasse anche nella contrada circostante: sia andando personalmente, che mandando qualcuno dei suoi compagni d'opera, o guidando i nuovi convertiti affinché andassero per portare la loro testimonianza.

 

Consideriamo, per esempio, la città d'Efeso, dove Paolo si fermò per più di due anni.

In Atti 19:10 viene affermato: «E questo continuò due anni; talché tutti coloro che abitavano nell'Asia, giudei e greci, udirono la parola del Signore».

A conferma di ciò vediamo che dopo pochi anni in questa regione v'erano delle chiese molte ben sviluppate.

 

Appena entrava in una città, immediatamente ricercava dove fosse una sinagoga, o un luogo di preghiera. Il sabato vi si recava e seguiva il culto insieme ai giudei.

Quando, poi, veniva notato come estraneo alla comunità e invitato a dare una parola d'esortazione Paolo, senza perdere l'occasione, annunziava che la speranza del popolo d'Israele nel Messia era divenuta una realtà.

 

Paolo, come ex-rabbino, sapeva come attirare l'attenzione e avvincere i cuori.

Citava molto spesso profezie del Vecchio Testamento. Con la sua logica sottile convinceva le menti e molto spesso veniva invitato a parlare di nuovo nella prossima riunione per chiarire ancora di più i suoi argomenti in favore del Messia.

 

Possiamo immaginarci anche quale fosse la sua attività durante la settimana. Molti avranno chiesto di avere un colloquio con lui e saranno andati a fargli visita nel suo alloggio, oppure lo invitavano nelle loro case.

Quando era libero andava nei posti dove poteva trovare della gente radunata e parlava loro.

Sovente accadeva che nel prossimo sabato v'era una grande folla ansiosa di ascoltare il messaggio della salvezza.

 

Generalmente, però, quando i giudei vedevano la grande popolarità di Paolo ed udivano dalle sue labbra direttamente che il messaggio della salvezza era, non solo per i giudei, ma per tutti gli uomini indistintamente, allora erano presi dall'invidia, negavano la verità di un tale fatto, si rivoltavano contro di lui e contrastavano la sua predicazione.

 

Il sermone predicato dall'apostolo in Antiochia di Pisidia ci fa comprendere quale era il suo pensiero in proposito ed il suo metodo di lavoro.

Egli giudicava che i giudei avevano il diritto di udire per primi il messaggio cristiano, ma se non accettavano egli si rivolgeva allora ai gentili.

Di solito, prima di arrivare a questo punto, la potenza di Dio si manifestava toccando profondamente dei cuori e v'erano dei convertiti che si univano a lui e lo seguivano anche fuori della sinagoga.

 

Con questi egli formava il nucleo delle chiese. A questi Paolo insegnava le dottrine principali; raccomandava di seguire gli insegnamenti del Vecchio Testamento; faceva scegliere tra loro degli anziani, responsabili per il buon andamento della nuova comunità; dava loro l'incarico di testimoniare ad altri di ciò che essi conoscevano e, attraverso la preghiera, affidava questo lavoro nelle mani del Signore (Atti 14:23).

 

I suoi insegnamenti a questi nuovi convertiti debbono essere stati così profondi e vividi da dare ai presenti la sensazione di esser trasportati in un'altra sfera.

Egli conosceva le cose profonde di Dio nel Vecchio Testamento, conosceva i misteri profondi circa Gesù, aveva avuto visioni sublimi ed ineffabili. La gente ascoltava rapita, credeva alle sue parole, ricercavano essi stessi le esperienze

profonde dello spirito e non rinnegava più la fede cristiana.

 

Le lettere di Paolo ci danno un saggio di quello che insegnava.

 

Se nelle poche parole di una lettera sapeva racchiudere così ricchi insegnamenti, quanto più sapeva comunicarne di presenza?

Nessuna meraviglia, dunque, che talvolta le riunioni si protraevano fino a tarda notte!

Chi avrebbe voluto rinunciare a tale godimento spirituale? Questo era cibo spirituale solidissimo fin dal principio.

 

I punti principali della fede venivano così spiegati e discussi immediatamente.

 

Quando la persecuzione cominciava, spesso questo era il segnale della sua partenza per un luogo nuovo. Non perché egli avesse paura di affrontare pericoli e sofferenze, ma perché egli teneva presente nel suo cuore gli altri milioni di persone che avevano diritto anch'essi di udire l'evangelo della salvezza.

 

Ma Paolo non abbandonò mai una città senza lasciarvi qualche nuovo convertito e senza aver impresso nelle chiese da lui organizzate alcune delle sue straordinarie caratteristiche.

 

Nell'andar via, però, egli non abbandonava le chiese da lui evangelizzate.

 

Qualche volta vi lasciò, per del tempo, qualcuno dei giovani che l'accompagnavano.

 

Poi continuava a tenersi in contatto con loro per mezzo di lettere, o messaggeri; ritornava almeno una seconda volta in queste chiese per rendersi conto personalmente del loro sviluppo spirituale, dei loro problemi, per incitarli sempre di più ad una consacrazione maggiore.

Inoltre faceva sentire a queste chiese che esse facevano parte del corpo mistico della chiesa universale di Cristo.

 

Per sviluppare ancora di più questo legame egli, a volte, raccoglieva offerte per le chiese più povere. In questa maniera l'amicizia e l'unità delle chiese si rafforzava sempre di più.

 

Egli seppe anche attirare attorno a sé diversi giovani interamente consacrati al Signore, che avrebbero obbedito immediatamente ad ogni suo comando.

 

Ne troviamo alcuni esempi nelle sue lettere:

 

«Studiati di venir tosto da me... Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Luca solo è meco. Prendi Marco e menalo teco; poiché egli mi è molto utile per il ministerio. Quanto a Tichico l'ho mandato ad Efeso» (2° Tim. 4:9-12).

 

«Per questa ragione t'ho lasciato in Creta: perché tu dia ordine alle cose che rimangono a fare, e costituisca degli anziani per ogni città, come t'ho ordinato» (Tito 1:5).

 

«Quando t'avrò mandato Artemas o Tichico, studiati di venir da me a Nicopoli, perché ho deciso di passar quivi l'inverno. Provvedi con cura al viaggio di Zena, il legista, e d'Apollo, affinché nulla manchi loro» (Tito 3 :12,13).

 

Oltre a questi v'erano Sila, Erasto, Clemente e chissà quanti altri, i quali erano felici di aiutare l'apostolo delle genti in qualsiasi maniera.

 

Paolo non usava altra autorità su di loro, oltre la forza d'attrazione della sua anima profonda e cristallina e la misura di consacrazione della sua vita al servizio del vangelo.

 

Questi gli erano di grande aiuto e attraverso di essi Paolo poté moltiplicare la sua opera di evangelizzazione.

 

E in questa maniera e con l'aiuto costante e fedele di costoro, in pochi anni la predicazione del vangelo era arrivata in molte delle principali città dell'Impero Romano e la purità e la semplicità del messaggio cristiano prendeva il sopravvento della società corrotta di quei tempi.

 

Paolo fu instancabile come missionario ed evangelista; mai volle ritornare indietro e mai si stancò d'andare avanti nel Nome del Signore.

 

 

4.d  Il suo amore per il popolo e­breo.

 

La sua vita era stata consacrata per portare l'evangelo ai gentili ed egli non si risparmiò mai onde potesse esser trovato fedele al suo Salvatore.

 

Ma anche in questo lato della sua vita troviamo un punto delicato e pieno di pathos: il suo immenso amore per la sua nazione.

 

Egli conosceva molto bene che fu proprio la sua nazione a non voler accettare il Figliuolo di Dio; sapeva che essi Lo avevano rigettato e crocifisso; sapeva che non volevano saperne di accettare la verità di Dio, ma con tutto ciò Paolo non tralasciò mai nessuna occasione per annunziare loro l’evangelo.

 

Si sentiva fortemente attratto a predicare ai suoi. Invece, Dio lo guidava altrove.

Benché alla sua conversione gli fu annunziato che doveva andare ai gentili, egli preferì sempre incominciare coi giudei.

 

In Damasco egli provò a dimostrare ai giudei che Gesù era il Cristo, ma questi reagirono così violentemente che dovette fuggire in maniera non troppo decorosa.

 

A Gerusalemme, di nuovo, cercò di annunziare Cristo ai suoi connazionali, ai suoi conoscenti, ma anche da questa città dovette fuggire. Quando Gesù gli parlò in visione comandandogli di uscire prestamente dalla città, Paolo non accettò l'ordine senza discuterlo: «Signore, eglino stessi sanno che io incarceravo e battevo nelle sinagoghe quelli che credevano in Te; e quando si spandeva il sangue di Stefano, Tuo testimone, anch'io ero presente ed approvavo, e custodivo le vesti di coloro che l'uccidevano» (Atti 22:19).

 

Paolo cercava, quasi, di convincere Gesù che era bene che continuasse a predicare ai suoi. Il Cristo, però, ripeté in modo inequivocabile il suo ordine: «Va’, perché Io ti manderò lontano, ai gentili».

 

Paolo protestò perché aveva un grande amore per la sua gente. Molti anni dopo questo amore era ancora forte ed inestinguibile.

 

Nella sua epistola ai Romani, capitolo 9, egli denuda la sua anima e scrive: «Io dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza me lo attesta per lo Spirito Santo: io ho una grande tristezza e un continuo dolore nel cuor mio; perché vorrei io stesso essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, che sono israeliti, ai quali appartengono l'adozione e la gloria e i patti e la legislazione e il culto e le promesse; dei quali sono i padri, e dai quali è venuto secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno».

Forse pensava d'essere più utile tra i suoi connazionali, perché era stato un fariseo, un rabbino, aveva studiato con Gamaliele, aveva conosciuto in Gerusalemme le persone più influenti del Giudaismo, ne conosceva benissimo la teologia e le lacune.

In altre parole, credeva di poter esser di grande aiuto nel presentare loro il Cristo, desiderava lavorare per il suo Salvatore anche in mezzo ai suoi, ma Dio sa meglio dell'uomo ciò che conviene fare ed i Suoi piani erano differenti da quelli di Saulo, essi erano più vasti e più grandi.

 

Paolo non avrebbe mai potuto sviluppare per intero i suoi talenti se fosse rimasto fra i giudei.

Dio lo mandò lontano dal campo che si era scelto da solo, lontano dalla gente che amava così intensamente, lontano, come missionario ai gentili.

 

Dio dovette chiudere chiaramente in diverse occasioni questa porta e queste opportunità prima che Paolo si arrendesse completamente alla realtà dei fatti.

 

Così varie volte Paolo esperimentò che ogni qualvolta predicava ai giudei nascevano fastidi, complicazioni, lotte e se li faceva nemici sempre più.

Invece, l'opposto accadeva quando si rivolgeva ai gentili. Le benedizioni di Dio erano manifeste ed abbondanti.

 

Paolo stesso dovette riconoscere che «la porta della fede ai gentili» (Atti 14:27) era aperta.

Alla fine fu preso interamente dal lavoro che svolgeva fra loro ed i frutti che raccolse stanno a testimoniare della sua chiamata particolare come missionario alle genti.

 

Alla fine del suo ministerio Paolo poteva contare molte chiese organizzate per mezzo della sua predicazione; un numero infinito di anime avevano trovato pace e vita eterna nel Cristo che egli predicò e popoli interi furono evangelizzati da questo potente soldato della croce.