CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

L’UOMO

 

1.a   L'uomo scelto da Dio.

 

Dopo l'ascensione di Gesù al cielo, Dio aveva bisogno di un uomo capace di dare impulso alla causa del Cristianesimo.

  • Un uomo che conoscesse molto bene le Scritture e le profezie e perciò potesse comprendere appieno il significato della venuta di Cristo sulla terra;
  • che avesse un cuore grande e puro, una mente ed una cultura vasta e dei sentimenti genuini;
  • che avrebbe potuto far uscire il Cristianesimo completamente fuori dalla culla del Giudaismo per dare ad esso un carattere indipendente ed universale.

Tra i primi dodici apostoli che Gesù aveva eletto non v'era nessuno che potesse rispondere a tutte queste aspettative.

Essi erano molto limitati e mancavano di diverse qualità richieste per un tale compito. Ma Dio aveva già preparato un uomo, di eccezionali virtù e talenti, che sarebbe divenuto lo strumento principale nella missione dell’evan­ge­lizzazione del mondo.

Costui avrebbe continuato l'opera che Gesù aveva cominciato in terra; avrebbe tradotto in pratica tutto quello che Cristo aveva insegnato; avrebbe dato un sistema definito e una teologia al Cristianesimo.

 

Saulo da Tarso era stato prescelto da Dio anche prima della sua nascita (Galati 1:15), che da sempre lo preparava alla sua missione, anche se inconsciamente, e che lo aveva dotato dei requisiti necessari.

 

Ancora adesso egli riscuote tanta ammirazione tra quelli che ne conoscono la vita. Le sue gesta e la grandiosa opera svolta da lui al servizio di Cristo non hanno trovato riscontro in nessun altro uomo.

 

Ebbe molti talenti, i quali furono potenziati dalla grazia di Dio e con essi conquistò il mondo conosciuto di allora all’ubbidienza del suo Signore Gesù Cristo.

Come un raggio di sole entra nel lato del prisma e ne e­sce fuori dagli a­ltri lati moltiplicato ed ab­bel­lito dai colori dell'arcoba­leno, co­sì la grazia di Dio entrò nella nobile vita di Paolo e si manifestò in diverse ed eccellenti maniere.

L’esperienza della sua conversione a Cristo sembrò sprigionare questi talenti, già presenti nella sua vita e lo Spirito Santo creò ed operò attraverso di lui delle opere spirituali potenti.

 

 

 

1.b   L'ambiente d’origine.

 

Tarso, la città natale di Saulo, era la capitale della Cilicia, una provincia romana che godeva di diversi privilegi: città indipendente, politicamente autonoma, ed esente da tasse.

Data la sua favorevole posizione sulle rive del fiume Cidno, navigabile dal mare, divenne un ricco centro di commercio. Inoltre, essendo situata in un piano molto ben irrigato, la città fioriva nel mezzo di una lussureggiante vegetazione.

 

Ma Tarso fu molto rinomata anche perché era un centro ragguardevole per la sua cultura letteraria e filosofica. Studenti venivano qua da ogni parte dell’Impero Romano per studiare e molti dei suoi maestri andavano ad insegnare in altre città importanti.

 

 

Anche in questa città vi erano dei giudei della dispersione.

Questi rappresentavano per i romani dei buoni colonizzatori a causa del loro carattere mite e dei loro principii esclusivisti: si tenevano sempre separati dagli altri membri della società e in casi di rivolte, essi non vi prendevano parte.

Per questo a loro erano concessi dei privilegi speciali da parte del governo romano, come ad esempio: l'esenzione dal servizio militare, il permesso di mantenere la propria religione e i propri costumi e, se richiesta, potevano ottenere anche la cittadinanza romana.

 

La famiglia di Paolo era di questi giudei che vivevano fuori della Palestina e con ogni probabilità sarà stata una delle famiglie aristocratiche della città, oppure suo padre sarà stato un ricco mercante.

 

Ad ogni modo la loro posizione sociale era abbastanza agiata da poter permettere al loro figliolo il privilegio di una cultura superiore e più tardi mandarlo a studiare in Gerusalemme sotto la guida del migliore insegnante d’Israele, Gamaliele.

 

Questa ipotesi e rafforzata anche dal fatto che il padre a­ve­va la cittadinanza romana col diritto di tramandarla al figlio.

 

Il papà apparteneva alla tribù di Beniamino, da cui era sorto il primo re ebraico, Saul. Era molto or­go­glioso della sua o­rigine e, religiosamente, ap­par­teneva alla set­ta dei farisei, che rappresentavano la setta più numerosa e più potente in Israele. Essi accettavano la realtà del mondo spirituale; credevano in una vita futura, nella risurrezione dei giusti e nell’e­sistenza degli angeli; tenevano in grande stima la legge di Mose e le tradizioni orali delle quali si stimavano i custodi fedeli; prendevano pochissimo interesse nella politica.

 

Esisteva, però, una grande varietà di farisei, dai più rigidi nell'osservanza di ogni “iota” della legge, ai più liberali.

 

Il padre di Saulo era un buon fariseo, pieno di passione e zelo per la legge di Mosè e per le tradizioni. Anche sua madre era molto devota e umile. Entrambi osservavano molto attentamente tutte le prescrizioni della legge.

 

Quando Saulo venne ad allietare la loro famiglia, essi lo fecero circoncidere l'ottavo giorno e lo consacrarono al Signore sperando che un giorno egli ricevesse la vocazione religiosa per servire Dio.

 

Infatti, essi, più tardi, lo guidarono verso la professione del rabbino ed egli imparò da loro ad amare e obbedire alla legge di Dio.

 

 

1.c   La preparazione intellettuale.

 

Spesso la base dell’amore per lo studio e i conseguimenti intellettuali ottenuti sono da ricercare non nei primi contatti con la scuola, ma direttamente nella famiglia stessa.

Così fu anche per Saulo; il suo intenso desiderio per lo studio della Parola di Dio ebbe radici dall'esempio nella sua famiglia.

 

Il desiderio dei genitori di conoscere sempre meglio la volontà di Dio attraverso la Sua Parola li guidò ad insegnare al piccolo Saulo le cose concernenti questo Libro meraviglioso.

All’età di sei o sette anni, Saulo frequentò le scuole elementari nella sinagoga della città.

 

Come libro di testo gli studenti avevano il Vecchio Testamento, ed in modo speciale la Legge, dalla quale imparavano dei grandi brani a memoria. Iddio aveva parlato attraverso di esso e bisognava asc0l­tarLo molto attentamente.

 

Nel frattempo egli imparò un mestiere manuale perché era uso comune di quei tempi, fra le famiglie ebraiche, di insegnare ai propri figli un mestiere affinché in momenti di bisogno potessero avvalersene per poter superare le crisi finanziarie.

Infatti, Saulo imparò a fabbricare delle tende dalla tela di peli di capra.

Questa era una delle occupazioni più comuni in Tarso, per cui l'intero distretto era conosciuto.

Infatti in certe occasioni egli dovette ricorrere a questo mes­tiere per supplire ai propri bisogni.

A questo punto viene da domandarci se egli frequentò alcuna delle scuole per cui Tarso era famosa. Studiò egli la filosofia o la letteratura greca?

 

Qualcuno pensa che forse egli frequentò le scuole elleniche di Tarso, poiché, dicono, egli si riferì in certe occasioni a dei poeti, o scrittori greci.

D'altra parte possiamo notare che i suoi riferimenti a questi sono piuttosto brevi e potevano benissimo essere massime, o detti ripetuti da tutti.

 

Paolo, conoscendo il greco e vivendo nel mezzo d'un centro di studio poteva benissimo apprenderli anche senza aver mai frequentato quelle scuole.

 

Quest’opinione è più plausibile considerando la rigidità religiosa dei farisei. Essi erano apertamente contro ogni processo di “ellenizzazione” dei sudditi ebraici.

 

Il padre di Saulo non sarà stato meno severo nei suoi principi religiosi, e naturalmente avrà impedito che suo figlio frequentasse una scuola ellenica, anche perché Saulo aveva scelto di divenire rabbino.

 

Dobbiamo anche considerare che presto, nella sua vita, egli andò in Palestina e a Gerusalemme: «Quale sia stato il mio modo di vivere dalla mia giovinezza, fin dal principio trascorsa in mezzo alla mia nazione e in Gerusalemme, tutti i giudei lo sanno» (Atti 26:4).

 

Dopo le elementari, dunque, probabilmente all’età di 13-15 anni, andò a Gerusalemme per completare i suoi studi religiosi.

I suoi genitori lo avevano incoraggiato verso la vocazione del rabbino e con grande piacere egli si avviò verso la città santa.

 

La scuola di Gerusalemme si radunava nel recinto del Tempio e lo studio principale erano le Sacre Scritture: la Legge, i Libri Poetici e i Profeti.

Questi erano interpretati con somma cura e spesso le interpretazioni erano veramente sottili.

Essi usavano tre metodi d’interpretazione:

  • l'interpretazione letterale delle parole scritte;
  • quella suggerita dal testo;
  • e l’interpretazione mistica dei sacri canoni.

Saulo imparò molte bene questi tre metodi e se ne usò spes­so anche dopo la conversione al Cristianesimo.

 

Si presume che mentre egli studiava a Gerusalemme vivesse in casa della sorella, il cui marito deve aver avuto facile accesso nelle case dei sommi sacerdoti, com’è dimostrato dal fatto che il loro figliolo udì, direttamente con i suoi orecchi, la congiura dei più di quaranta uomini contro Saulo, mentre parlavano ai capi sacerdoti (Atti 23:14-16).

 

Così il giovane Saulo imparava con avidità ed entusiasmo sempre nuove cose; non solo cose religiose, ma anche nuove lingue.

In Tarso aveva imparato il greco, in casa parlava l'aramaico e nella scuola imparò l'ebraico classico della Scrittura.

 

A Gerusalemme ebbe anche il privilegio di studiare «ai piedi di Gamaliele» (Atti 22:3), sommo professore e considerato dai giudei come il primo dei pochi “Rabban”, insegnanti eminentissimi.

Gamaliele era il capo della scuola teologica di Gerusalemme, fondata dal grande Hillel, di cui Gamaliele era il nipote. Gamaliele fu un uomo di grande influenza, rispettato da tutto il popolo; le sue opinioni erano tenute in grande considerazione.

 

Nella sua scuola s’insegnava un tipo di Giudaismo piuttosto liberale; la Legge veniva considerata più spiritualmente, e benché non godeva troppo il favore degli altri capi re­ligiosi più severi nell’interpretazione della stessa, pure godeva di una larga simpatia presso tutto il popolo.

 

In un’occasione la sua attitudine valse a salvare alcuni cristiani dall’essere messi a morte.

 

Gamaliele era inoltre una delle guide del Sinedrio e fu capace di farsi ascoltare e di comandare a questo di non molestare troppo i cristiani.

 

L’episodio ci viene riferito negli Atti 5:33-40. «Essi, udendo queste cose, fremevano d’ira, e facevan proposito d'ucciderli. Ma un certo fariseo, chiamato Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, levatosi in piè nel Sinedrio, comandò che gli apostoli fossero per un po’ messi fuori. Poi disse loro: Uomini Israeliti, badate bene, circa questi uomini, a quel che state per fare. Non vi occupate di questi uomini, e lasciateli stare; perché, se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non li potete distruggere, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio. Ed essi furon del suo parere; e chiamati gli apostoli, li batterono, e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù, e li lasciarono andare».

 

Da questo noi supponiamo che egli fosse uno dei capi del Sinedrio e come tale egli deve essere stato presente anche quando Gesù fu condannato.

 

Quella volta non disse niente per difendere Gesù.

Forse non conoscendo troppo bene quali dottrine Gesù insegnava ed essendo stato preso con inganno dai suoi connazionali, non poté far nulla per fermarli nel loro furore omicida.

Ad ogni modo possiamo capire che qualcosa avvenne nel suo animo per fargli cambiare la sua attitudine.

Cominciò egli a credere in segreto che Gesù fosse veramente il Figlio di Dio? Fu lui uno dei sacerdoti, o capi religiosi che «ubbidiva alla fede»? (Atti 6:7).

Quel suo breve discorso ci rivela, se non altro, il suo dubbio sincero che questo movimento potesse essere «da Dio».

 

La sua attitudine certamente ebbe una grande influenza anche su Saulo, suo ex discepolo.

 

 

1.d   II suo carattere.

 

Dalle lettere che egli scrisse, notiamo diverse particolarità del carattere di Saulo.

 

Egli accennò con un poco di orgoglio e gratitudine alla sua origine giudaica (2° Corinzi 11:22).

 

Nella citta di Tarso, proprio a causa della grande varietà di uomini che aveva incontrato e conosciuto, egli sviluppò grandemente la facoltà di stabilire amicizie con chiunque.

A contatto col mondo greco-romano il suo orizzonte intellettuale divenne più vasto di quello di un qualunque e­breo vissuto sempre in Palestina.

L’influenza ellenica lasciò un’impronta indelebile in lui e lo vediamo anche nell'amore che egli aveva per gli sport, ai quali accennò spesso e volentieri nei suoi scritti. Questi riferimenti ci indicano la sua familiarità con essi.

Nella sua vita religiosa volle essere rigido nell’osservanza di ogni particolare. Con malcelato orgoglio affermò in un’occasione: «Se qualcun altro pensa aver di che confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l'ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo d'ebrei; quanto alla legge, fariseo ... Quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile» (Filippesi 3:4-6).

 

Però, se in un certo senso egli voleva osservare scrupolosamente ogni più piccola legge e ogni tradizione e perciò possiamo riscontrare in lui i sentimenti prettamente farisaici, in un altro senso i suoi sentimenti religiosi erano più tolleranti verso quelli di fuori e più missionari.

Nella sua vita in comune con i gentili di Tarso si era sviluppata in lui una grande simpatia per loro ed egli con tatto delicato cercava di vincerli alla causa della “Legge”.

 

Notiamo, inoltre, nel suo carattere un prepotente desiderio di essere superiore agli altri. Questo desiderio lo spingeva a prodigarsi molto più del normale richiesto, affinché potesse soddisfare il suo amor proprio. Voleva essere il primo e voleva segnalarsi, come egli ebbe a dire, e per raggiungere questo scopo non si risparmiava nessuna fatica.

Egli stesso lo confessò nella sua epistola ai Galati 1:14: «Mi segnalavo nel Giudaismo più di molti della mia età fra i miei connazionali, essendo estremamente zelante delle tradizioni dei miei padri».

 

Anche le sue doti personali lo aiutavano in questo suo sforzo.

Possedeva una volontà di ferro, una notevole quantità di resistenza fisica, un pensiero penetrante ed inquisitivo, una facilità di parola non comune, un carattere energico pieno di fuoco e di zelo per quello che riteneva giusto.

Più tardi dimostrò una severità senza limiti contro i cristiani. Per i suoi eccessi di fanatismo religioso fu molto noto e temuto dai suoi nemici. In altre parole, nel suo cuore si agitavano dei sentimenti di fuoco, come l’attività interna di un vulcano in piena ebollizione.

 

Un uomo tale, guidato nella retta direzione, avrebbe fatto molto nelle mani di Dio.

 

 

1.e   I suoi conseguimenti.

 

Le parole: «e i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane, chiamato Saulo» (Atti 7:58) hanno indotto molti a pensare che egli fosse, in quell’occasione, poco più di un giovanetto. Osserviamo, però, che questo sostantivo era usato dagli orientali con una grande elasticità di significato: poteva essere usato per uomini che avevano appena passato la loro adolescenza e per altri che erano già giunti alla soglia della loro maturità.

 

Nel Nuovo Testamento abbiamo delle prove di questa elasticità di significato.

 

  • In 1° Giovanni, per esempio, si parla di «bambini, fanciulletti, figliuoletti» ai quali l'apostolo si rivolge come a persone grandi che possono capire certe cose profonde della fede.

Il termine greco usato qui è «Pais», il quale veniva usato dalla nascita fino all'età adulta.

 

  • Un altro sostantivo usato in questo stesso capitolo e «Teknon», che significa bambino.

 

  • La parola greca usata in Atti 7 :58 è «Neaniou», genitivo singolare di «Neanias», che significa giovane. Questa parola ha il significato di un uomo nel primo vigore dei suoi anni, in un periodo di età che comincia ai 20 anni circa e potrebbe estendersi ai 30 anni e oltre.

 

  • Sempre nel secondo capitolo di 1° Giovanni troviamo la stessa parola per esprimere l'idea di «giovani», da distinguere dagli altri «bambini, o figliuoletti».

 

Se dunque per «figliuoletti» devono considerarsi tutti quelli fino all'età adulta, per «giovani» devono intendersi quelli che hanno oltrepassato quest’età.

 

  • Infatti qualche volta il sostantivo «Neanias» veniva usato anche per soldati.

In Tito 2 :4 troviamo la stessa parola per descrivere donne sposate, con figliuoli, contrapposte alle «donne attempate» del versetto precedente.

 

Quanti anni avrà avuto, allora, Saulo quando assistette alla morte di Stefano? Deve aver avuto circa 30 anni, se non di più. Questa supposizione è giustificata anche da altre considerazioni, alle quali accenniamo soltanto brevemente, proponendoci di considerarle meglio fra breve.

  1. Il comando e l’autorità ricevuta poco dopo di perseguitare i cristiani non poteva, per ovvie ragioni, essere affidata ad un giovinetto.
  1. Si crede che già in questo periodo, o poco piu tardi, Saulo fosse membro del Sinedrio, e se così fosse, egli non poteva avere meno di 30 anni per poterne fare parte.
  1. Circa 30 anni dopo, scrivendo dalla prigione di Roma al suo amico Filemone, si definisce «vecchio» (Filemone 9).

 

Ricostruendo la sua vita, possiamo supporre che terminati i suoi studi in Gerusalemme e divenuto rabbino, Saulo lasciò la città per servire in qualche sinagoga, probabilmente nella Cilicia, se non direttamente a Tarso.

 

Questo avvenne poco prima che Giovanni Battista e Gesù incominciassero la loro missione nella Palestina. Così egli non ebbe occasione di vedere nessuno dei due e neanche di conoscere bene quale fosse il loro insegnamento e la loro opera.

 

Nel frattempo deve essersi sposato poiché ad un rabbino era chiesto che egli prendesse una decisione simile.

Egli non accenna affatto a ciò e i suoi scritti sono stranamente silenziosi su questo lato della sua vita, perciò noi possiamo soltanto supporre una tale ipotesi. Ma anche quest’ipotesi ha buone ragioni di sussistere perché egli non sarebbe mai potuto essere scelto, più tardi, a far parte del Sinedrio se non fosse stato sposato. Come buon fariseo egli avrà certamente obbedito anche a questa ingiunzione.

 

Che cosa accadde allora alla moglie? Sempre formulando delle ipotesi, possiamo rispondere che forse la moglie morì presto, lasciandolo vedovo, oppure quando egli si convertì al Cristianesimo, lo abbandonò. Questo potrebbe anche giustificare il suo silenzio.

 

Come fariseo e figlio di un fariseo, Saulo ricercò intensamente la giustizia osservando la Legge e obbedendo a tutti i suoi comandamenti e per quanto egli potesse giudicare, secondo la sua fedeltà alle prescrizioni della Legge e alle tradizioni, egli si credeva «irreprensibile» (Filippesi 3:6).

 

Dopo qualche anno trascorso al servizio della Legge mosaica, egli si attirò l'attenzione di molti uomini, non solo di quelli immediatamente intorno a lui, ma anche nella lontana capitale, dove un giorno fu chiamato a servire.

 

 

1.f    Il persecutore dei cristiani.

 

Ritornato nella capitale, egli la trovò in subbuglio a causa di una nuova setta, detta dei Nazareni, 0 cristiani, perché seguaci di un certo Cristo, che era stato condannato alla morte infamante della croce dai capi della nazione.

 

Essi avevano invaso tutta la città delle loro dottrine e già i capi sacerdoti se ne preoccupavano seriamente.

 

Questa setta si moltiplicava straordinariamente.

 

Saulo volle provare a ricondurre, con la persuasione, questi sviati alla ragione ed al vecchio sistema giudaico, ma presto si accorse d'avere a che fare con gente che conosceva bene la Legge ed i Profeti; anzi dichiaravano con convinzione che le profezie riguardanti il Messia si erano avverate nella persona di Gesù e portavano molti argomenti dalle Scritture per provare la loro affermazione.

 

Le discussioni religiose circa il Cristo si erano fatte sempre più frequenti, più ardite e più serrate in tutte le sinagoghe.

 

Gli aderenti di questa setta avevano dei difensori intelligenti, versati nella Scrittura e qualcuno disponeva anche di una certa cultura greca.

 

Uno di questi, Stefano, uomo ardito nell'esposizione delle profezie, predicatore pieno di fuoco, capace di interessare il pubblico, brillante difensore della nuova dottrina, compariva sempre più spesso nelle sinagoghe a discutere.

 

Egli si distinse presto dagli altri cristiani per la sua abilità e pronta intelligenza.

Presto si dimostrò un pericoloso avversario per i sostenitori del Giudaismo.

 

Forse anche Saulo provò a confutare i suoi argomenti, ma nessuno poteva «resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. Allora subornarono degli uomini che dissero: Noi l’abbiamo udito dir parole di bestemmia contro Mosè e contro Dio. E commossero il popolo e gli anziani e gli scribi; e venutigli addosso, lo afferrarono e lo menarono al Sinedrio; e presentarono dei falsi testimoni, che dicevano: Questo uomo non cessa di proferir parole contro il luogo santo e contro la legge. Infatti, gli abbiamo udito dire che quel Nazareno, Gesù, distruggerà questo luogo e muterà gli usi che Mose ci ha tramandati. E tutti coloro che sedevano nel Sinedrio, avendo fissati in lui gli occhi, videro la sua faccia simile alla faccia di un angelo» (Atti 6:10-15).

 

Stefano cominciò la sua difesa, dinanzi al Sinedrio, con umiltà e gentilezza di maniere. Raccontò la storia di Israele e provò da essa che spesso la nazione aveva rigettato coloro i quali erano stati mandati da Dio.

A un tratto i suoi accenti cambiarono ed egli accusò veementemente i presenti d’aver ucciso il Messia di Dio.

 

Fino a questo punto i suoi giudici l'avevano ascoltato pazientemente, poi cominciarono a fremere di rabbia.

 

Ma Stefano, «essendo pieno dello Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio, e disse: Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figliuol dell'uomo in piè alla destra di Dio. Ma essi, gettando di gran gridi si turarono gli orecchi, e tutti insieme si avventarono sopra lui; e cacciatolo fuor della città, si diedero a lapidarlo» (Atti 7:55-57).

 

Saulo fu presente in quest’occasione e ascoltò attentamente ogni parola di Stefano.

Si accorse che usava argomenti della Scrittura per provare che Gesù era stato il Messia mandato da Dio e che il popolo l’aveva rigettato come tutti gli altri uomini di Dio.

Così, non potendo far tacere i suoi chiari argomenti, vollero far tacere lui per sempre, con la morte.

 

Nell’atmosfera elettrizzata di quei momenti soltanto due persone presenti non persero la calma, Stefano e Saulo.

 

  • Stefano, anche sotto le tremende sofferenze di quei momenti, non perse la dolcezza del suo carattere. Anzi nella sua morte agì come il suo Signore, facendoci intravedere che forse anche lui era stato presente, non notato da alcuno, tra la folla ai piedi della croce in quel giorno non troppo lontano.

Così, come il suo Maestro, anche Stefano rimise il suo spirito nelle mani del Signore e pregò che questo peccato non venisse imputato loro.

 

  • Saulo rimase calmo, almeno esternamente, ma l'aver notato la maniera in cui Stefano era spirato, le sue parole di perdono per i suoi carnefici e la preghiera che aveva rivolto a Gesù, come se Lo vedesse presente dinanzi a lui, deve aver causato una tempesta di emozioni nel suo cuore.

Come fariseo egli credeva nella risurrezione dei giusti e le ultime parole di Stefano sembravano confermare questo; poteva aver parlato veramente con uno spirito risuscitato.

D'altra parte come poteva un uomo maledetto da Dio (Deuteronomio 21 :23 e Galati 3:13), essere il Messia tanto aspettato? Ciò non era assolutamente possibile!

 

Con questa tempesta nell’animo se ne tornò nella città.

 

 

1.g   Membro del Sinedrio.

 

Con la sua presenza al martirio di Stefano egli dimostrò la sua approvazione riguardo ai mezzi usati per combattere i seguaci di questa setta. «I testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane, chiamato Saulo... E Saulo era consenziente all’uccisione di lui» (Atti 7:58; 8:1).

 

Era egli già investito d'autorità dal Sinedrio? La ricevette più tardi? L'atto di deporre le vesti ai suoi piedi potrebbe anche farci capire che egli era presente per controllare l'esecuzione della condanna.

 

Infatti se egli fosse stato un semplice spettatore, perché Luca aggiunge che egli era consenziente, come se la sua attitudine avesse valore per consentire, o no l’esecu­zio­ne?


Comunque sia, da questo momento in poi Saulo divenne l’uomo principale della persecuzione. Perfino i capi della nazione, riconoscendo la sua grande ambizione, cominciarono a riporre su lui le speranze che il nome e l'opera di Gesù fossero finalmente distrutte.

 

Egli agiva con zelo, perseguitando ferocemente tutti i cristiani, credendo intimamente d’essere stato scelto da Dio per distruggere questa nuova eresia che minava la base della struttura su cui poggiavano la Legge, l’intera fede giudaica e perciò la stessa fede in Dio.

 

Egli s'informava diligentemente chi fosse un loro seguace, qualche volta usò anche la forza, la tortura, la morte per estorcere confessioni. Poi immediatamente entrava nelle case per arrestare donne, uomini, giovani 0 anziani, senza rispetto per nessuno.

 

Saulo sperava di sterminare il Cristianesimo interamente e «devastava la chiesa».

 

La chiesa di Gerusalemme fu dispersa. Molti erano fuggiti nelle altre citta. Sembrava che l'opera di estinzione fosse quasi finita.

Eppure mentre perseguitava i cristiani non poteva fare a meno di notare la loro nobile reazione alle persecuzioni.

 

Essi possedevano una pace, una gioia, un segreto che egli non conosceva e non possedeva, ma egli soffocò ogni pensiero molesto e continuò nella sua nefanda opera e fu cosi zelante per la causa della Legge che ben presto fu chiamato a far parte del Sinedrio stesso.

Un piccolo accenno in Atti 26 :10 ci fa intravedere questo: «Quanto è a me, avevo sì pensato anch’io di dover fare molte cose contro il nome di Gesù il Nazareno. E questo difatti feci a Gerusalemme; e avutane facoltà dai capi sacerdoti serrai nelle prigioni molti dei santi; e quando erano messi a morte, io detti il mio voto. E spesse volte, per tutte le sinagoghe, li costrinsi con pene a bestemmiare; e infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitai fino nelle citta straniere».

 

Quella breve frase: «Io detti il mio voto», ci offre lo spunto per considerare una simile possibilità, perché qui egli adoperò dei sostantivi usati soltanto in occasioni speciali.

 

Il greco dice: «Katénenka pséfon», letteralmente, «lasciai cadere (deposi) la pietruzza».

Il sostantivo greco «pséfos», qui usato, si riferiva alla pietruzza che veniva data ai giudici di corte i quali dovevano gettarla nell'urna per votare in approvazione del verdetto.

 

Questo era il modo con cui un giudice poteva dare il suo voto, come membro di un tribunale per concludere il giudizio, 0 la sentenza di un processo giudiziario.

 

Questo era un procedimento giuridico conosciuto e praticato anche in Gerusalemme in quei tempi.

 

Da questo deduciamo che anche Paolo sia stato un membro del Sinedrio, la corte suprema del popolo di Israele, altrimenti non avrebbe potuto esser presente e partecipare al procedimento giudiziario contro i cristiani in qualità di giudice, votando insieme agli altri capi sacerdoti.

 

Comunque sia, la sua ambizione di essere uno dei primi

nella sua nazione trovo attuazione, se non altro, nel fatto che egli divenne l'uomo principale della persecuzione contro i cristiani.

 

La sua autorità era illimitata. Entrava con la forza nelle case e nel nome della legge li portava in prigione, li torturava estorcendo da loro confessioni, o bestemmie e li metteva a morte.

 

La sua autorità si era estesa anche oltre Gerusalemme, la Giudea e la Palestina.

 

Il suo nome era conosciuto e temuto da tutti i cristiani.

 

I suoi amici, probabilmente, avevano rispetto, se non proprio ammirazione per le sue gesta per ristabilire l’autorità e la supremazia della Legge contro l’odiato nome del Galileo.

 

Saulo da Tarso poteva essere ben orgoglioso dei suoi successi, ottenuti soltanto per mezzo della sua indomita volontà di divenire il primo fra molti.