COSA ACCADDE QUEL GIORNO AL CALVARIO?

Siamo a Gerusalemme, nel periodo della Pasqua ebraica. C’è fermento in città, non solo per la festa solenne, ma anche perché un predicatore, diventato ormai famoso, è stato arrestato.

Si chiama Gesù ed è accusato di essersi fatto uguale a Dio, di essersi dichiarato Figlio di Dio e di aver affermato che, se distrutto, in tre giorni avrebbe ricostruito il Tempio di Gerusalemme.

Quest’Uomo è stato oggetto di violenti contrasti: 

  • molti Lo hanno visto compiere miracoli prodigiosi, hanno ascoltato da Lui parole che nessun altro aveva mai proferito e percepita in Lui una sapienza trascendente. 
  • Ma è stato anche violentemente contrastato, soprattutto dai Farisei e dai dottori della Legge che spesso hanno cercato di metterlo in difficoltà, senza mai riuscirci.

Ora è stato tradito da uno dei Suoi più intimi amici, di nome Giuda, e consegnato proprio nelle mani di coloro che si sono sempre dimostrati i suoi più acerrimi nemici. La condanna, già decisa a priori, è stata convalidata in un processo farsa, ingiusto e, in ogni suo momento, contro tutte le regole della giurisdizione ebraica.

Ora quell’Uomo, che ha fatto tanto bene al popolo, è deriso e umiliato prima dal Sinedrio, poi da Erode, poi ancora dall’Autorità romana e dai soldati. 

Frustato, vilipeso, sputato in viso. Egli sta lì, non parla, non inveisce, non si difende tanto che Pilato, meravigliato, Gli dice: «Non senti quante cose testimoniano contro di Te?» (Matteo 27:13).

 

Perché Gesù sta lì davanti a Pilato con il corpo trasfigurato dalle frustate e dalle violenze subite come se fosse stato il più abietto dei malviventi? Eppure è sempre andato in giro facendo del bene a tutti; nessuno può convincerLo di peccato, nessuno può accusarlo di alcun torto nei propri confronti. Ma allora, perché ora è sottoposto al più infamante dei giudizi e rischia la più crudele delle torture: la morte per crocifissione?

 

Perché Gesù sta lì, senza difendersi, senza usare quella potenza che tante volte aveva manifestato?

Quanti perché di fronte ad una scena sostanzialmente incomprensibile, davanti a degli avvenimenti dei quali s’intuisce una portata universale, che, però, si stanno svolgendo proprio in quelle ore a Gerusalemme davanti e con la complicità di quel popolo che aveva ricevuto solo del bene, ma che ora, come un invasato, grida: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».

Ecco, viene condannato e portato al Golgota per essere crocifisso in mezzo a due malfattori. Egli giusto, trattato e assimilato a dei malfattori.

Ora è appeso alla croce, il viso trasfigurato dalle atroci sofferenze, eppure … che stranezza: dalla Sua bocca non escono imprecazioni, parole di odio, grida lancinanti per il dolore, ma echeggia in quell’atmosfera cupa e intrisa di odio una frase: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23:34).

Cos’è questa stranezza?! Come può un uomo in quello stato e trattato in quel modo proferire simili parole di perdono e d’amore? 

Ma chi è Costui? 

Qual è la misteriosa potenza che Lo anima e Lo spinge a preoccuparsi dei Suoi carnefici e, addirittura ad invocare il perdono per loro?

Eppure gli scherni e gli oltraggi continuano e perfino uno dei due malfattori Lo insulta, ma l’altro, sia benedetto il Nome dell’Eterno, Lo supplica: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel Tuo Regno» (Luca 23:42). E qual è la risposta che ne riceve? Forse un’infastidita replica perché ora anch’Egli deve preoccuparsi del Suo stato? NO! Ancora parole di un amore infinito: «Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in Paradiso» (Luca 23:43).

Egli non si chiude nel Suo dolore e non solo ha ancora in Sé quella misteriosa e incommensurabile carica d’amore che Lo porta a preoccuparsi di fortificare il malfattore sofferente che Gli chiede aiuto, ma, senza che Gli venga fatta richiesta alcuna, osserva dall’alto del Suo trono di dolore, la madre sofferente ed ha la squisita sensibilità d’animo di preoccuparsi di lei e di affidarla all’apostolo Giovanni (Giov. 19:26,27).

Ma, mentre la tragedia si consuma davanti alla crudeltà e all’insensibilità del popolo, dell’umanità, tutta, mia e tua, il creato non può assistere ad un simile oltraggio e, dice la santa Parola di Dio, «Dall’ora sesta (mezzogiorno) si fecero tenebre su tutto il paese fino all’ora nona (le tre del pomeriggio)» (Matteo 27:45).

Veramente una strana, terribile manifestazione del dolore di tutto il creato. Com’è duro il cuore dell’uomo che ancora non riesce a capire il peso reale di ciò che sta avvenendo.

Poi «verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce “Elì, Elì, lamà sabactàni” cioè “Dio mio, Dio mio, perché Mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46).

Ecco il segreto dell’angoscia di Gesù che Lo aveva spinto nel Getsemani a supplicare in preghiera: «Padre Mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice!» (Matteo 26:39).

Era la consapevolezza dell’abbandono del Padre che Lo tormentava!

Ma aveva saputo superare quel profondo trauma e dichiarare, arreso alla volontà del Padre, «Però non la Mia volontà ma La Tua sia fatta!» (Luca 22:42).

Ed ora, per essersi arreso a quella Volontà, è lì sulla croce che proferisce quel grido straziante, poi dice: «Ho sete» (Giov. 19:28).

Be’, dirà qualcuno, che c’è di strano? Questa è forse la frase più ovvia e umana per chi si trovi in quella situazione. Eppure la Bibbia, nel riportare questa frase, aggiunge: «Dopo questo (cioè dopo aver affidato Maria a Giovanni), Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse “Ho sete”» (Giov. 19:28).

Vi rendete conto che, nonostante le atroci sofferenze, lo Spirito di Gesù era comunque immerso nelle Scritture e rifletteva su ciò che doveva essere fatto per adempierle? Gloria a Gesù!

Allora Gli porsero dell’aceto e «quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: «Ècompiuto!” e chinato il capo rese lo spirito» (Giov. 19:30). Luca precisa: «Gesù, gridando a gran voce, disse – “Padre nelle Tue mani rimetto lo spirito mio” – Detto questo spirò» (Luca 23:46).

Solo allora uno dei presenti, uno straniero, uno che non apparteneva al popolo ebreo, un centurione romano disse: «Veramente quest’Uomo era giusto» (Luca 23:47).

Ecco cosa accadde quel giorno al Calvario.